Teatro

"Il barone rampante" sale sulla scena e porta la fiaba nella quotidianità

Riccardo Frati dirige il classico di Calvino al Grassi di Milano

"Il barone rampante" sale sulla scena e porta la fiaba nella quotidianità

Vedere Calvino a teatro è rarità, per questo l'omaggio che la produzione in prima assoluta del Piccolo Teatro di Milano fa allo scrittore in occasione del centenario della nascita è ancora più interessante. Il barone rampante, in scena al Grassi fino al 5 febbraio, con adattamento e regia di Riccardo Frati, offre almeno due grandi possibilità allo spettatore: esplorare la tridimensionalità di una delle più grandi fiabe italiane contemporanee e darle al contempo la possibilità di insinuarsi in una quotidianità che di fiabesco non ha quasi più nulla.

Fiaba, sì, come sottolineano i sontuosi e cartooneschi costumi di Gianluca Sbicca, e non sia ciò riduttivo di intensità e carisma: il baroncino Cosimo - qui incarnato dal giovane Francesco Santagada in un modo toccante, ironico, tenero, che vale tutto lo spettacolo - è antieroe a tutti gli effetti o forse solo un tipico adolescente, il che ne fa insieme un vessillo del sentire umano e un protagonista in formazione. In una Liguria d'entroterra e profumo di mare evocata dal magico disegno luci di Luigi Biondi, alla fine del Settecento il figliol nobile si muove con l'invincibile energia dell'incoscienza e l'impenetrabile scudo della sua biblioteca pensile, infischiandosene delle convenzioni e spostando di continuo il confine tra bene e male a seconda di chi si trova di fronte: ha deciso di vivere sugli alberi, a casa non ci torna, ha tutta la vita davanti e quel che deve fare è sentire e scegliere la propria direzione morale. Quelle scure scale orizzontali messe da Frati come rami d'albero a protezione dalla caduta all'inferno che è il suolo, sì, ma è anche il cielo, se ci si distanzia troppo dalla realtà - aiutano lo spettatore a dirigere anche la propria barra, finché sentiamo fisicamente il sollievo di avvicinarci a Cosimo lassù, insieme ai pochi eletti ammessi nel suo regno, tra cui il fratello Biagio, ottimo nel ruolo Giovanni Battaglia nella compenetrazione anziano fanciullo, e il brigante Gian dei Brughi, criminale domato da Fielding e Richardson, ma pur sempre criminale e quindi, a salvar la fiaba, destinato ad una brutta fine. Sugli alberi si legge, soprattutto, si medita e ci si innamora: la lunatica Viola, vicina di villa che rapisce il cuore del baroncino è qui la sempre più convincente Marina Occhionero in due ruoli principali e altre rapide uscite, dolcissima e perfida se sinforosa, gastronoma folle nei panni della sorella di Cosimo, Battista.

Eccellenza dello spettacolo - valido, come tutte le fiabe, per tutte le età - è proprio la voglia di tenersi nel territorio della letteratura, lasciando a ciascuno la libertà, una volta provocata la meraviglia, di scegliere se siamo Cosimo o tutti gli altri.

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