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Di Bartali ce n'erano due: Giulio, il fratello che morì in sella

Promettentissimo corridore dilettante, venne investito a soli vent'anni durante l'ultima gara prima di passare al professionismo. "La cosa più tremenda della mia vita", disse Gino in seguito

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Il tempo è infame e non te lo aspetteresti il 14 di giugno. Lui però si beve quelle gocce di pioggia e sorride: in fondo a vent'anni non ti ferma neanche un ciclone. Poi c'è l'ultima gara tra i dilettanti prima di passare nel mondo dei grandi. Ciclista professionista. Un sogno che Giulio Bartali, fratello minore del celebre Gino, coltiva con tutte le ragioni.

Fino a qui, infatti, è parso essere un prodigio. Nella sua ultima uscita, a Castelnuovo Sabbioni, ha cambiato marcia ed ha tagliato il traguardo dieci minuti prima degli altri. Dieci. Di lui Ginettaccio dice che "è il miglior corridore dilettante d'Italia". Tra l'altro si allenano spesso insieme e Giulio è l'unico che riesce a restargli a ruota in salita. Qualche volta, con l'esuberanza dell'età, lo stacca pure.

Il 1936 è stato un anno ricco di soddisfazioni fino a qui. Oggi si corre per la Targa Chiari e lui se ne frega del tempo. Non sarà certo la prima volta che gli toccherà vedersela con la pioggia. Smania talmente per aprire questo nuovo capitolo della sua vita che gli scivola tutto addosso. Perché d'accordo vincere a Sansepolcro, Pistoia o Sinalunga, ma gareggiare nella stessa categoria del fratellone è un'altra cosa.

Parte forte, Giulio. Si divora curve e morbide salite. L'asfalto è una saponetta, ma lui incede sicuro, fino a quando il cambio gli si guasta. Deve fermarsi per ripararlo e poi riparte a razzo, per recuperare quelli che sono scappati. Le gambe sono sul punto di esplodere per lo sforzo, ma lui non si ferma. E riprende il gruppo. I primi della fila sono Corsini, Bernacchi e Corsinuovi. Lui sta a ruota. Adesso si tratta soltanto di rifiatare e provare lo sprint.

La strada è sempre più fradicia, ma lui affonda sui pedali. Il gruppo di testa infila a tutta una curva che taglia a metà la località di Osteria Nuova. Nel verso opposto sta salendo una macchina, incurante della segnaletica. L'impatto è inevitabile. I primi due corridori riescono a scansarla per miracolo, ma Giulio ci impatta contro. Un urto tremendo, all'altezza del torace. Costole che vanno subito in frantumi. Riverso per terra, mentre il sangue fiotta via dal suo corpo fradicio, se potesse penserebbe a quanto sia assurdo morire così, in un giorno di quasi estate, a vent'anni soltanto.

Arriva rapida un'ambulanza. Lo portano spediti all'ospedale di Santa Maria Nuova, dove tentano disperantamente di operarlo. Arriva a rotta di collo anche Gino, avvertito del drammatico incidente. Dona il suo sangue, perché Giulio ne ha perso moltissimo. Ma non basterà. Il suo fratello minore morirà lì. Il dolore circonda da tutte le parti. "Quella - dirà Gino nella sua biografia Tutto sbagliato, tutto da rifare - è stata la cosa più tremenda della mia vita. Passammo dalla gioia più grande al dolore più cupo, inaspettatamente".

Quel che Giulio Bartali sarebbe potuto diventare, come uomo e come ciclista, non lo sapremo mai.

Certe volte anche un giorno di giugno a vent'anni può essere tremendamente infame.

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