Tinto Brass, la rivoluzione del maestro dell'eros contro i radical-chic

Il grande maestro del cinema erotico compie 90 anni e parte della sua produzione cinematografica è stata riabilitata da quello stesso mondo che negli anni '80 lo osteggiava fortemente, prendendosi così una bella rivincita

Tinto Brass, la rivoluzione del maestro dell'eros contro i radical-chic

Nel giorno del suo novantesimo compleanno, probabilmente qualcuno dovrebbe delle scuse a Tinto Brass. E non tanto per un ripensamento critico dell'aspetto meramente moralistico con il quale il mondo femminista attaccò quel filone cinematografico nato poco meno di 50 anni fa a opera del maestro del soft-core all'italiana. Ma quanto perché – con il senno di poi – i tratti identitari di quel fenomeno culturale erotico sono stati apprezzati e premiati a livello internazionale. Un filone che è stato sposato anche da cineasti insospettabili che, nel corso dei decenni, hanno riconosciuto il valore di quella caratterizzazione espressa dal maestro Brass.

La rivoluzione sessual-cinematografica

Il maestro Tinto (soprannome ispirato dal pittore Tintoretto, che piaceva molto a sua nonna) è stato infatti artefice di quella rivoluzione sessual-cinematografica che, gradualmente e per tappe, nell'Italia post-sessantottina sfociò poi a metà anni '80 con il film che, per primo, ha contaminato la commedia all'italiana con una visione più evoluta di erotismo. Un erotismo, tuttavia, da non confondersi con la becera pornografia fine a se stessa, bensì visto dal regista all'insegna di un ambito licenzioso che fosse vitale e gioioso e al tempo stesso libero e trasgressivo.

Musa di quel capolavoro artistico ("La chiave", del 1983) fu una Stefania Sandrelli già nota alle soglie della maturità, che aveva accettato di spogliarsi senza pudori per il regista. Tuttavia l'apice di quella rivoluzione venne rappresentata dal film immediatamente successivo uscito nelle sale cinematografiche, dove si vide probabilmente un'altra grande novità specialmente a livello estetico che ha riguardato quell'eros sovversivo: "Miranda" (1985), che fece conquistare la notorietà e il successo a Serena Grandi, consacrandola come una delle star erotiche del cinema italiano. L'attrice entrò di fatto nell'immaginario collettivo come icona dell'abbondanza casereccia dalle forme prorompenti, rompendo completamente gli schemi rispetto ai classici canoni che imponevano una magrezza delle forme sinuosi del corpo della donna. Da questo punto di vista, Grandi fu forse una delle figure femminili che più impresse un marchio di fabbrica allo stile narrativo di Tinto Brass.

I palcoscenici che lo hanno omaggiato

Non è un caso che, nel 2002, Parigi decise di dedicare all'autore veneziano una maxi-rassegna cinematografica dal titolo "Elogio della carne". Il regista nato a Milano venne all'epoca definito nel catalogo della manifestazione parigina come "il più erotomane tra i cineasti, ma anche il più cineasta tra gli erotomani". Proprio in quella Francia dove aveva cominciato come "semplice" archivista presso la Cinémathèque di Parigi, dove ebbe modo d'avvicinarsi agli ambienti della nascente Nouvelle Vague. Cannes ospitò un cortometraggio ispirato alla sua arte (e dove lui stesso compare come attore): "Eva al desnudo". In Spagna, invece, il festival di Segovia proiettò il suo "Monamour" in una chiesa sconsacrata a mezzanotte. Una bella soddisfazione per un uomo che, almeno per trent'anni, è stato oggetto di pesanti giudizi a sfondo moralistico nei quali Brass veniva descritto in maniera pressapochista come il "solito regista guardone alle prese con le sue solite ossessioni": prima tra tutte, quella verso il fondoschiena femminile.

Ecco: quello stesso guardone, a 90 anni di età, è riuscito a ottenere ufficialmente la propria rivincita personale nei confronti di quelle malignità superficiali. Il "maschilista greve" è stato difatti gradulamente (ma inevitabilmente) rivalutato e riabilitato anche agli occhi di certi operatori del grande schermo che, per "forma mentis" e carriera professionale, lo potevano snobbare o comunque porre in tutta tranquillità nel dimenticatoio. Un esempio tra tutti, nell'establishment cinematografico, Nanni Moretti. Proprio lui, il leader dei girotondi anti-Cav chiamò - per il suo festival a Torino - Brass per proiettare un suo vecchio film ("Chi lavora è perduto"). Un omaggio che fece il paio con l'invito al festival (ancora più radical-chic) di Venezia, che lo celebrò con l'accoglimento del documentario "Istintobrass", realizzato dal suo collaboratore storico Massimiliano Zanin.

Oggi che compie 90 anni gli stessi detrattori che lo avevano insultato, potrebbero quindi anche emendarsi nei suoi confronti: lui, il pioniere della meravigliosa imperfezione corporea, che ha contribuito a esportare il cinema italiano anche fuori dai nostri confini.

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