Cultura e Spettacoli

Alla conquista della Grande Mela

"Oltre l’Avenue D" di Philippe Marcadé racconta la svolta musicale Anni settanta all’ombra della Statua della libertà. E furono gli europei in fuga a dettare la linea

Alla conquista della Grande Mela

A volte non servono le masse per fare le rivoluzioni: basta un gruppetto di poche persone, sufficientemente folli e visionarie, per accendere quelle scintille che daranno vita a cambiamenti epocali. Una cosa del genere è accaduta a New York intorno al 1974, un periodo in cui le espressioni creative vivevano un momento di transizione. Soprattutto nella musica, il punk non era ancora esploso mentre dall’Inghilterra i suoni barocchi del pop sinfonico stavano fortunatamente terminando la loro epopea. Allo stesso modo nell’arte si attendeva una nuova avanguardia, visto che Pop e Minimal da tempo dominavano nei musei e gallerie, mentre il graffitismo risultava ancora marginale. Manhattan, peraltro, non era la stessa di ora e interi quartieri venivano considerati a rischio. Off limit, ad esempio, era Alphabet City, la zona in cui le strade si contano non più per numero ma per lettera. «Oltre l’Avenue D» era sconsigliabile spingersi. È proprio dalla «città proibita» che prende il titolo la docu-novel di Philippe Marcadé, Oltre l’Avenue D. un punk a New York 1972-1982, appena pubblicata in Italia da Agenzia X (pagg. 192, euro 15).

Il racconto si apre con l’arresto di un diciassettenne beccato con una discreta quantità di droga addosso. Da lì cominciano una serie di avventure picaresche (viaggi in autostop, sballi, concerti, incroci sessuali) e di incontri che lo convinceranno ad abbandonare la vecchia Europa e trasferirsi definitivamente in America. Prima di approdare a New York, Marcadé fa tappa a Boston, dove divide l’appartamento con l’amico Bruce e conosce un manipolo di strafatti che passano il tempo ad ascoltare buona musica e rollare canne. Alcuni di loro sono «armati» di macchina fotografica per riprendere in tempo reale ciò che succede e ritrarre i protagonisti di questa nuova «lost generation»: c’è David Armstrong e, soprattutto, Nan Goldin, che oggi è considerata una delle artiste più importanti di quel periodo. Le sue istantanee hanno testimoniato un’epoca votata alla massima libertà e all’autodistruzione: aids ed eroina ne hanno portati via molti e lo stesso Marcadé, con la saggezza del reduce, ammette che esserne usciti è stata una grande fortuna.

Luoghi di culto della New York di allora erano il Chelsea Hotel, l’albergo che aveva ospitato, tra gli altri, William Burroughs, Janis Joplin, Edith Piaf, Henry Miller, Andy Warhol e la sua corte, il posto in cui qualche anno dopo sarebbe stata uccisa Nancy Spungen: quindi il CBGB’S, il locale che aveva sostituito nel cuore degli alternativi il Max Kansas City, in verità un posto brutto e sporco dove ogni venerdì sera si esibiva una band che molto probabilmente avrebbe scritto un capitolo nella storia del rock. Lì Marcadé capisce che la musica sta davvero cambiando. Dopo aver sentito Mink De Ville, conosce quattro ragazzi magri, taglio di capelli alla Beatles 1965, giubbotto di pelle nera, scarpe da ginnastica e jeans strettissimi. Sono i Ramones che «in mezzo a tutti quegli artistoidi scorreggioni e beautiful people con capelli lunghi e stivaloni argentati, erano sicuramente all’avanguardia, il gruppo più anti-hippie mai visto, il futuro del rock americano».

Altri incontri flash, quelli con i Cramps, Debbie Harry, il fotografo Robert Mapplethorpe, Johnny Thunder in una New York devastata dall’eroina: «non ci rendevamo conto del pericolo, né di quanti amici sarebbero morti. Era la droga degli intellettuali, degli artisti, della gente cool. Qualcuno avrebbe dovuto dirci la verità...».

Nel 1976 Marcadé fonda la sua rock band, i Senders, autori di un punk oscuro nel mood della No Wave di allora, che suona al Max’s la stessa sera in cui muore Elvis Presley («ma pareva non fregasse un cazzo a nessuno, visto che lo si considerava morto dal 1959»). Pur non passando alla storia resteranno un piccolo fenomeno indie di quegli anni (vengono considerati la miglior live band di New York) e faranno da spalla ai concerti di Blondie e dei Clash. Rispetto ai colleghi inglesi, chi vive a Manhattan ha da tempo abbandonato le spille da balia e i vestiti stracciati. Sono dei veri e propri dandy che curano il look con attenzione. Il periodo d’oro dei Senders dura fino al 1982, quando l’atmosfera è profondamente cambiata e molti dei fenomeni underground sono stati definitivamente inglobati nel mainstream. Fino al 1997 si esibiscono dal vivo, nonostante scioglimenti temporanei e perdite definitive (la morte del chitarrista Marc Bourset). Oggi Marcadé ricorda quel periodo senza retorica né troppi rimpianti.

La sua filosofia, in fondo, è rimasta quella di allora: «muori giovane e rimani bello».

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