Politica

Così D’Alema cerca un posto sopra l’Ulivo

Nessuno screzio con Fassino: «Ci sentiamo ogni giorno. Con lui ragiono senza problemi»

Roberto Scafuri

da Roma

C’è la tesi del gran timoniere, gran paciere, grande in tutto. Massimo D’Alema costruisce il suo futuro, sorregge Prodi nelle sue eclissi di leadership, spende la propria credibilità per fermare i nemici del Professore, diventa infine il punto d’equilibrio di un Ulivo in coma profondo e riesce a salvare capra e cavoli partecipando all’incontro di ieri, nel quale accetta le primarie e ha le solite parole di elogio e apprezzamento per Prodi. «Massimo si è accorto che la temperatura era oltre il livello di guardia - raccontano - ed è intervenuto. Tutto qui». Bello a dirsi, bello a vedersi. Corollario di tanta bontà d’animo, il cursus honorum atteso: presidenza della Camera e poi Quirinale. Nel frattempo portando a termine il sogno nel cassetto: la Grande Riforma istituzionale, appunto.
Pezze d’appoggio alla tesi sono rintracciabili in ognuna delle ultime sortite. Quando racconta di come sia diventato sostenitore dell’Ulivo, oppure quando con naturalezza parla, alla Stampa, delle sue mire: «Se io voglio fare il presidente della Camera, molto semplicemente mi candido... ed essendo il presidente del maggior partito della coalizione, se vinciamo le elezioni forse ho qualche chance». O quando spiega che il progetto di Prodi va sostenuto «perché è quello che trova molta rispondenza anche tra i nostri elettori».
Ma poi ci sono le tesi concorrenti. Il Massimo D’Alema feroce uscito dalla tana, con tanti a chiedersi: «Perché?». Altro che «super partes», il solito animale da preda, e per di più ferito. Pare che abbia cominciato a muoversi quando Francesco Rutelli, detto «er Cicoria», ha mosso contro di lui la rumba dei salotti, invadendo territori dei quali Massimo si riteneva padrone assoluto. Anni di paziente tessitura nel mondo degli affari, della buona società, con un occhio di riguardo Oltretevere. Buttati via da un referendum e dal rampantismo del «Cicoria». Si può capire la delusione e la rabbia. Nei salotti, si diceva, Rutelli avrebbe cominciato a spargere i veleni della scalata alla Rcs: «Dietro Ricucci e gli immobiliaristi ci sono un paio di baffi...». Dagli uno, e due, e tre, ai baffi è saltato su il nervoso. Ancora ieri D’Alema si è difeso con gli artigli. «Per attaccare me e i Ds ormai ricorrono alle calunnie. Tipo questa storia di Ricucci - lamenta a Federico Geremicca della Stampa -. Ripeto: io nemmeno lo conosco. E chi dice che assieme stiamo nientemeno che scalando Rcs, o è un cretino o è un mascalzone. E infatti a parlare sono sia i cretini che i mascalzoni».
Immediata replica di Rino Piscitello, un tarzan della seconda Repubblica ora in forza ai rutelliani: «D’Alema dice che siamo cretini e mascalzoni, ma allora perché ci tratta tutti da cretini?». Piscitello si diverte a fare sondaggi tra deputati del Nord e del Sud: «I primi non sanno che cosa rispondere, i secondi optano per la seconda categoria». Ma intanto il presidente della Quercia coglie nel segno, sa quali sono i competitori sul suo terreno e dichiara che la Margherita è indigeribile (ricambiato). Ricorda che la crisi ulivista è cominciata «per un’iniziativa della Margherita, un’iniziativa rozza e violenta nel metodo, e accompagnata politicamente da una polemica, anzi da una vera e propria aggressione ai Ds e al loro presidente...». Il progetto della Margherita «sembra assai meno convincente di quello di Prodi... un dito nell’occhio ai nostri elettori». Infine Piero Fassino, segretario sospettato di essere un po’ troppo indulgente con il «Cicoria», che D’Alema tratta con la consueta sufficienza («Ci sentiamo ogni giorno, discutiamo: con lui non ci sono problemi»). Tanto attivismo, allora, si dirige certo a «difendere il territorio, colmare le lacune di Prodi, ostacolare l’ascesa di Veltroni». Ma resta in piedi, come nello sciocchezzaio che indispone D’Alema, non tanto il «cherchez la femme» quanto piuttosto il «cherchez l’argent». Se D’Alema si arrabbia per il «tentativo di depistaggio rispetto a ciò che accade realmente attorno a Rcs», Rutelli «cretini e mascalzoni si sono prestati, ipotizzando di ottenere un risultato anche per loro: presentarsi come i rappresentanti di un’imprenditoria e una finanza pulite, vedi il loro convegno di Frascati, e di far apparire gli altri, cioè in questo caso i Ds, come quelli che hanno le mani in pasta e flirtano con personaggi oscuri».

È ciò «a cui si punta nei salotti, diciamo così, importanti». Una competition «incompatibile con una seria e convincente prospettiva di governo». Un po’ meno di una confessione d’impotenza, più di una dichiarazione di guerra.

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