Roma - Achille Chiappetti è un insigne costituzionalista,
ordinario di diritto pubblico nella Facoltà di Scienze Politiche della
Sapienza di Roma. Te lo immagini canuto a scartabellare polverosi
brocardi e, invece, lo trovi pungente e gagliardo, nel suo studio nel
quartiere Prati di Roma, mentre attorno a lui satellitano giovani (e
belle) assistenti e dalle pareti occhieggiano le opere del
professore-avvocato pure pittore. Ancora fresca la polemica sulle
modifiche alla Costituzione, Chiappetti ne approfitta subito. È la sua
materia. "La Costituzione non è intoccabile, affatto. Specialmente in
alcune parti deve essere aggiornata. È stata il frutto di una
mediazione storicamente datata in cui ebbe ovviamente peso la
componente marxista guidata da Togliatti. Non si deve irrigidirla
ulteriormente perché è già difficilmente aggiornabile. Infatti, se la
Costituzione non si conforma ai mutamenti sociali essa o diviene
inutile o si rompe. Non come quella di Fiume che prevedeva nella carta
stessa il suo continuo aggiornamento”.
Attualità fiumane La Carta del Carnaro? Un pezzo d’antan, roba
anni venti? “Tutt’altro. Si tratta di una costituzione in alcuni tratti
molto più chiara e moderna della nostra”. Insomma, a Fiume, alla Festa
della Rivoluzione, fra nudisti, arditi e artisti, dove la poesia era un
diritto, non scherzavano. E lo Statuto del Carnaro, seppur rimasto per
evidenti limiti temporali sulla carta, rappresenta un’eredità preziosa
e a lungo dimenticata. Dietro c’è la genialità rabdomantica di
D’Annunzio, certo, ma soprattutto la capacità innovativa di Alceste De
Ambris, sindacalista rivoluzionario e giornalista. E Fiume diventa
laboratorio, di follie di ogni genere, di cultura declinata in vita e
convertita in amore, ma anche di futuri possibili. E non solo delle
liturgie fasciste, come spesso si legge.
Un salto nel futuro La Carta di Fiume è una piroetta nel futuro,
una costituzione repubblicana stilata da De Ambris nella speranza di
anticipare la nascita di un movimento di chiara ispirazione
social-rivoluzionaria e repubblicana da estendersi a tutta l'Italia. La
Carta del Carnaro prevedeva un ampio decentramento amministrativo, la
democrazia diretta, il suffragio universale esteso anche a tutte le
donne, l'introduzione del divorzio e la difesa contro gli sviamenti
della giustizia.
Più innovativa della nostra Costituzione “E tutte queste
considerazioni fanno sì che un costituzionalista – spiega Chiappetti –
non può prendere in considerazione questa inusuale costituzione se non
in una chiave di comparazione; laddove i due termini di confronto sono
lo Statuto Albertino, da una parte, vigente all’epoca in Italia; e la
Costituzione italiana del 1948, che l’Italia si è data venticinque anni
dopo, a seguito della caduta del fascismo. Ebbene, direi che se noi
consideriamo queste due date (1848 e 1948), lo Statuto del Carnaro ci
appare subito molto più vicino – dal punto di vista dei suoi contenuti
– al 1948 e, per certi versi, sembra perfino scavalcare quest’ultima
data”. “Tutta la nostra complessità e conflittualità – prosegue il
professore – nella Carta fiumana è invece semplificata. I lavoratori,
per esempio, vengono chiamati produttori, portando così ad unità tutte
le categorie ed i ruoli della produzione di ricchezza e di benessere. E
poi è una costituzione semplice e chiara. Non come la nostra che si
presta ad ambivalenze e interpretazioni. L’articolo 1 della Carta del
1948 è molto meno trasparente, laddove stabilisce che L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Si tratta di una formula che, quando la lessi per la prima volta, tanti
decenni fa, mi indusse subito a chiedermi se essa avesse un senso
concreto. Poi, con il progredire degli studi, mi accorsi di non avere
avuto torto perché mi fu facile accertare che, in realtà, questa
formula era allo stesso tempo compromissoria e dirompente”.
Carta ottimista Insomma, era meglio la Costituzione di Fiume, della
reggenza dannunziana del Carnaro.
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