Era stato accusato di aver avuto un rapporto sessuale non consenziente con la donna con la quale conviveva. Quest'ultima non avrebbe però manifestato in modo convinto il proprio dissenso e una volta consumato l'atto sarebbe rimasta a letto con lui. E anche su queste basi, l'uomo residente in provincia di Perugia protagonista della vicenda è stato assolto proprio nelle scorse ore dalla Corte d'Appello. Una storia che arriva dal capoluogo dell'Umbria e che risale ormai a qualche anno fa, con tutta probabilità. Sulla base di quanto riportato dalla testata online PerugiaToday, l'uomo era finito sul banco degli imputati con l'accusa di violenza sessuale. Ad accusarlo sarebbe stata la convivente, a seguito di un rapporto intimo che sarebbe avvenuto senza il suo consenso esplicito.
E la questione si è ben presto presto spostata nelle aule giudiziarie. Se il verdetto di primo grado era stato a quanto pare favorevole alla presunta vittima di violenza, in Appello è invece arrivata l'assoluzione per l'uomo. I motivi? Secondo i giudici della Corte d’Appello di Perugia, i quali hanno assolto come detto l’imputato e riformato la sentenza di primo grado, mancherebbe in primis l’elemento soggettivo del delitto di violenza sessuale: l’autore non avrebbe avuto consapevolezza “del dissenso al rapporto della persona offesa”. Questo alla luce del legame che intercorreva fra le due persone protagoniste dell'episodio, con i magistrati che con questa premessa hanno forse pensato che l'uomo fosse caduto in un equivoco. Altri due aspetti collaterali, stando a quanto emerso in un secondo momento, si sarebbero rivelati decisivi ai fini della decisione della Corte: la donna non si sarebbe ad esempio opposta in maniera attiva al rapporto sessuale.
E sarebbe rimasta a letto, accanto all'uomo, anche nei minuti successivi al rapporto. I giudici della Corte non hanno negato il fatto che la donna potesse essere contraria all'atto, ma hanno evidenziato le situazioni piuttosto equivoche che si sarebbero venute a creare in quel frangente specifico:“le circostanze del caso concreto, come descritte dalla persona offesa”, avrebbero dato origine al dubbio in ordine al consenso al rapporto. "Segnatamente, si metteva in luce come la persona offesa, convivente dell’imputato, non si fosse opposta attivamente al rapporto - si leggerebbe nella sentenza - e anche successivamente alla sua consumazione, fosse rimasta nel letto accanto a lui”.
Un comportamento che, secondo la Corte, “pur in presenza di un dissenso al rapporto, poteva trarre l’imputato in errore, determinando in lui la consapevolezza di un atto consenziente”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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