Cronaca giudiziaria

Saman e quella madre ancora impunita

Ti capisco, Luigi, a volte proviamo questa sensazione: ci pare che il mondo giri al rovescio, che siamo qui, in questa gabbia di matti, ad osservare con sconcerto quello che accade intorno a noi, che nulla funzioni come dovrebbe, che tutto sia profondamente, irrimediabilmente, insopportabilmente ingiusto

Saman e quella madre ancora impunita

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Saman e quella madre ancora impunita

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Caro Direttore Feltri,

dubito che, a causa dell'età, riuscirò a vedere e ad apprezzare qualche saggio cambiamento nelle aule di giustizia. Ho l'impressione che adesso i giudici decidano su tipo e durata delle pene imposte a chi ha commesso il reato a seconda della latitudine oppure della longitudine. A ciò ha contribuito la stranezza di due sentenze verificatesi recentemente: 17 anni di carcere inflitti ad Asti al gioielliere Mario Roggero il quale, preoccupato per la moglie momentaneamente

sparita, sparò ai suoi aggressori che cercavano di darsela a gambe, mentre chi materialmente uccise la povera 18enne Saman Abbas, ossia suo zio, è stato condannato soltanto a 14 anni di detenzione, che poi, con la solita «buona condotta», potrebbero diminuire alquanto.

Luigi Fassone

Camogli (Genova)

Caro Luigi,

ho sempre difficoltà ad esprimermi riguardo determinati fatti giudiziari e relative sentenze, anzi, mi correggo, tendo ad essere prudente nell'esternare una opinione dal momento che non ho letto le carte, non ho seguito il procedimento, non ho preso parte al dibattimento, quindi non posso avere, come non può averla nessuno di noi, una visione completa e chiara della vicenda, quella stessa visione che mi consentirebbe di accedere ad una prospettiva onesta e non viziata e che ha indotto i giudici a prendere una determinata decisione. L'opinione pubblica non conosce che le faccende raccontate dai giornalisti e nella maniera in cui i giornali le raccontano, quello che trapela, quello che viene ricostruito anche negli studi televisivi, che però non sono aule di tribunale. Essa è libera, ovviamente, di farsi una sua propria idea, di comunicarla, libera anche di non essere d'accordo, di dissentire, di criticare l'operato dei giudici, ci mancherebbe altro, siamo in democrazia. Va da sé che ciascun giudice gode di una certa discrezionalità nell'applicazione della legge, ovvero egli può

interpretarla e valutare il caso specifico. Per quanto riguarda il gioielliere, i magistrati non hanno riconosciuto la legittima difesa in quanto l'uomo, che pure era impaurito, stanco, frustrato da ripetute rapine che subiva da tempo, esasperato, preoccupato per la famiglia, comprensibilmente agitato, ha rincorso i ladri in fuga sparando loro alle spalle. Quindi è stato contestato proprio questo elemento: il gioielliere non ha agito per tutelare la sua pelle o quella di un familiare, ma per una sorta di spirito di vendetta, ovvero con una volontà di uccidere e non di salvaguardarsi dall'essere ucciso. Sono molto dispiaciuto per questo signore, trattato alla stregua di un qualsiasi assassino, e penso il tribunale avrebbe dovuto dare maggiore peso allo stato d'animo del gioielliere, il quale, come ho già specificato, veniva rapinato sistematicamente. In riferimento, invece, al barbaro omicidio di Saman Abbas, non mi duole tanto che lo zio abbia ricevuto soltanto 14 anni di pena bensì che la madre, latitante, sia ancora impunita, proprio colei che ha consegnato la figlia a chi l'ha trucidata, proprio colei che ha teso alla sua bambina un tranello per farla finire nella

trappola mortale ordita dal nucleo familiare, da questo clan malefico. Nel valutare la posizione dello zio ritengo che il giudicante non abbia potuto fare a meno di riconoscere a questi la collaborazione fornita agli inquirenti, collaborazione che ha condotto al ritrovamento del corpo e alla ricostruzione stessa dei fatti in aula.

Ti capisco, Luigi, a volte proviamo questa sensazione: ci pare che il mondo giri al rovescio, che siamo qui, in questa gabbia di matti, ad osservare con sconcerto quello che accade intorno a noi, che nulla funzioni come dovrebbe, che tutto sia profondamente, irrimediabilmente, insopportabilmente ingiusto.

Tuttavia, sarebbe troppo facile credere che la colpa sia di chi è chiamato a giudicare e non di tutti quanti noi.

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