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Quell’esplosione che uccise più di 4300 persone sul traghetto

Il 20 dicembre 1987 il traghetto Doña Paz, diretto a Manila, nelle Filippine, si scontrò con una petroliera, causando il più grave disastro marittimo mai accaduto: le vittime furono circa 4.300

Quell’esplosione che uccise più di 4300 persone sul traghetto Doña Paz

Il 20 dicembre 1987 il traghetto passeggeri Doña Paz, registrato nelle Filippine, di costruzione giapponese, entrò in collisione con la petroliera Vector, mentre viaggiava dall’isola Leyte a Manila, nelle Filippine, con a bordo circa 2.000 passeggeri in più di quelli che avrebbe dovuto trasportare. Il bilancio del naufragio fu disastroso: si stima che su 4.385 passeggeri, ne sopravvissero soltanto 26, passando alla storia come il peggior disastro navale in tempo di pace.

Il traghetto e il naufragio

Il Doña Paz venne costruito nel 1963 dall’azienda giapponese Onomichi Zosen, prendendo il nome di Himeyuri Maru, con una capacità di 608 passeggeri. In seguito fu venduto alla compagnia filippina Sulpicio Lines, solcando i mari con il nome di Don Sulpicio, ma nel 1979 la nave fu distrutta da un incendio con 1.164 persone a bordo, che si salvarono per miracolo. Il relitto venne quindi riparato e ribattezzato Doña Paz.

Il 20 dicembre del 1987 il Doña Paz, comandato dal capitano Eusebio Nazareno, partì da da Tacloban, sull’isola filippina di Leyte, diretto a Manila, dove sarebbe dovuto arrivare alle 4 di mattina del giorno successivo. Secondo quanto riferito dopo l’incidente, l’ultimo contatto radio del traghetto avvenne alle 20 del 20 dicembre, ma in seguito venne appurato che la nave non possedeva una radio per poter comunicare. Alle 22:30, mentre la maggior parte dei passeggeri dormiva nelle cabine, il traghetto si scontrò con la petroliera M/C Vector, che trasportava 1,05 milioni di litri di benzina, oltre ad altri prodotti petroliferi. La violenta collisione provocò immediatamente un incendio a bordo del Vector, che si propagò anche sul Doña Paz.

I pochi superstiti al disastro ricordano di aver percepito uno schianto e una forte esplosione, che causò panico a bordo. Una nave vicina, il Don Claudio, assistette alla sciagura e dopo un’ora riuscì ad arrivare sul luogo della tragedia e a salvare i pochi superstiti dalle acque, gettando loro delle reti. Su 4.385 passeggeri, 24 di loro erano passeggeri del Doña Paz, mentre 2 erano membri dell'equipaggio della petroliera, gli unici sopravvissuti su 11. Trascorsero 8 interminabili ore, prima che i soccorsi venissero a conoscenza dell’incidente, e altre 8 per avviare le operazioni di soccorso dei feriti e recupero delle vittime.

Un passeggero, il capitano di polizia Luthgardo Niedo, dichiarò che non appena si spensero le luci a bordo della nave, iniziò a spargersi il caos tra i passeggeri e che i membri dell’equipaggio, invece di dare loro indicazioni su come agire per salvarsi dalle fiamme, furono anch’essi presi dal panico. Un altro particolare raccontato da Niedo fu che a bordo non vi erano giubbotti di salvataggio e che la folla fu costretta a gettarsi dalla nave nelle acque lambite dalle fiamme, dove andarono incontro alla morte. Successivamente venne appurato che i giubbotti si trovavano in un armadietto, chiusi a chiave. I superstiti si salvarono aggrappandosi ai bagagli che galleggiavano, in mezzo ad un inferno di corpi carbonizzati.

Le indagini e le cause del disastro

Secondo quanto emerse dalle indagini, condotte dalla Marine Board of Inquiry della guardia costiera filippina, a monitorare il ponte quella sera, era presente solo un apprendista membro dell'equipaggio. Gli altri stavano "bevendo birra" o guardando la televisione nei loro alloggi; sempre secondo le indagini il capitano stava guardando un film nella sua cabina, ignaro di ciò che stava accadendo sulla nave. Niedo riferì agli inquirenti un'altra versione: ovvero che un collega poliziotto, il quale si trovava sul Doña Paz, gli riferì che quella sera c'era una festa "con risate e musica ad alto volume" sul ponte della nave, e che tra i partecipanti vi era anche il comandante Nazareno.

La guardia costiera fu affiancata nelle indagini dalla Coalition of Samar and Leyte Organizations (Cslo), composta da volontari e membri della polizia, che si occupò di scoprire informazioni sui passeggeri. Ascoltando i sopravvissuti alla sciagura, la Cslo scoprì che era altamente probabile che il Doña Paz, quel 20 dicembre 1987, trasportasse più di 4.000 passeggeri, ovvero circa il doppio del consentito. Dai racconti dei superstiti si evinse che molte persone quella notte non possedevano una cabina, e furono viste affollare il ponte e dormire dove potevano, stipate nei corridoi.

Ufficialmente, la Sulpicio Lines dichiarò che a bordo del Doña Paz vi erano 1.493 passeggeri e 59 membri dell'equipaggio, ma in un secondo elenco fu riscontrato che i passeggeri a bordo della nave erano 1.583 passeggeri, con 58 membri dell'equipaggio. Ma non è tutto: un funzionario che volle restare anonimo, riferì agli inquirenti che, poichè era il periodo natalizio, molti biglietti venivano venduti illegamente a bordo. Si arrivò così a quantificare un esubero di circa 2.000 passeggeri a bordo del traghetto, un numero esorbitante di persone, che occupavano una nave con una capienza di circa 1.400 passeggeri.

Circa 4.000 familiari delle vittime, molte delle quali non figuravano nell'elenco passeggeri, chiesero un risarcimento. I parenti pretesero, per la perdita dei propri cari, un indennizzo da parte dell'armatore, responsabile di aver fatto salire a bordo un numero smisurato di persone.

Ma nonostante le manifestazioni organizzate dai parenti dei passeggeri che persero la vita nel disastro, la Sulpicio Lines venne scagionata da tutte le accuse, e la responsabilità della tragedia fu attribuita alla petroliera Vector, la quale, si scoprì che viaggiava senza licenza e con vedetta o comandante non qualificato.

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