Abusi filmati da Palermo a Lamezia. La pista dei video sul web per soldi

Violenze riprese e girate nelle chat. L'esperto: "C'è chi punta a guadagnare. I social sono più forti anche della paura di un arresto"

Abusi filmati da Palermo a Lamezia. La pista dei video sul web per soldi
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Stupri, risse, compagni di classe riempiti di botte. Dietro ognuno dei reati degli ultimi mesi c'è sempre la stessa arma del delitto: il cellulare. Per filmare gli amici che violentano le ragazze a turno, tra le risa di tutti. Per vedere come reagisce l'amico disabile preso a spintoni, per far vedere a tutti che faccia fa il 13enne braccato e rapato a zero con il rasoio elettrico.

Ed è pazzesco vedere come baby gang e bulletti vari non abbiano paura delle pene, del carcere minorile, di nulla. Agiscono solo e unicamente in nome di like e follower. Senza nemmeno rendersi conto che se filmi la compagna di classe nuda o, peggio ancora, il tuo
amico che la stupra, sei passibile di diffusione di materiale pedopornografico e pure complice di un reato atroce. Eppure.

Ma che succede nella testa dei ragazzi? Possibile che su dieci persone che assistono a una violenza nessuno - ma proprio nessuno - dica: «Dai, ora basta. Fermatevi». Possibile? Sì. Anche perchè tante volte la rissa o l'atto di bullismo vengono organizzati a puntino proprio per realizzare il filmato e spaccare sui social. Ogni video porta pubblicità e ogni banner pubblicitario porta soldi. «Stasera ci troviamo in piazza alle 23» si scrivono i gruppi di adolescenti sui social. E l'appuntamento è per fare a botte. O meglio, per filmare l'azzuffata e se arriva la «pula» meglio ancora, vuoi mettere quanti like in più si fanno su You Tube?

«Molte volte è tutto organizzato per guadagnarci sopra - spiega Ernesto Savona, direttore di Transcrime e professore di Criminologia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - I social sono un catalizzatore più potente della paura di essere denunciati o arrestati. Tant'è vero che nei filmati i ragazzi non si fanno problemi se sono perfettamente identificabili. La loro voglia di avere un'identità social, di avere un trofeo (fatto di consensi sui siti) è più forte del timore di essere beccati. E questo è davvero tristissimo».

In ogni gruppo c'è l'addetto alle riprese: mai per denunciare, sempre per amplificare la sfida, che altrimenti non avrebbe poi tutto questo senso senza pubblico. Così è accaduto al Foro Italico di Palermo dove una 19enne è stata abusata a favor di telecamera («Gli altri mi hanno chiesto di riprendere, compresa lei» dichiara il "reporter"). Così ha fatto la ragazza di 23 anni che lo scorso anno a Lamezia Terme
ha filmato gli amici che stupravano un coetaneo disabile, mentre qualcuno diceva: «Oh, raga, troppo forte, stanno pure riprendendo». E così è avvenuto alla Festa dell'Unità di Bologna quando è stata violentata una ragazzina di 15 anni, con i telefonini puntati contro e nessuna delle ragazze presenti che si scandalizzasse.

Idem per i ragazzi dello stupro di Caivano che a un certo punto si sono resi conto di aver esagerato e hanno cercato di cancellare i video. La scorsa settimana a Brescia in un sottopassaggio un gruppo di ragazze ha preso a calci e pugni un'amica e ne è nato un filmato che nemmeno Kubric.

Una follia a cui anche la giurisprudenza si sta adattando, affinando le punizioni per chi non partecipa direttamente al reato di gruppo ma lo riprende.

Il ministro Matteo Salvini ha proposto di abbassare l'età imputabile a 14 anni. E il ministro all'Istruzione Giuseppe Valditara prevede multe per i genitori dei bulli e la sospensione dei social. Ma si sa che i ragazzini hanno profili e nikname clandestini.

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