Il buco nell’acqua della presunta pista famigliare dimostrerebbe una cosa: la scomparsa di Emanuela Orlandi è un caso intricato ed estremamente internazionale. È questo il pensiero del giornalista Fabrizio Peronaci, che ha rilasciato un’intervista in merito al Quotidiano Nazionale. E, sebbene non ci siano prove che Orlandi sia ancora viva, il giornalista non ha escluso che possa essere stata condotta all’estero e messa sotto protezione.
“Non dobbiamo cadere nell’errore di considerarla una pista - ha commentato Peronaci a proposito delle avance verbali subite da uno zio da parte della sorella della scomparsa - ma quest’ultima ‘fiammata’ va inquadrata in quello che è stato davvero il caso Orlandi, una raffinatissima operazione di intelligence tesa ad attuare un ricatto in quell’epoca orrenda che erano i primi anni ’80 dove all’ombra del Vaticano avvenivano cose gravissime come l’uccisione del banchiere Roberto Calvi o il tentato omicidio del suo vice Roberto Rosone da parte del boss della Banda della Magliana, Danilo Abbruciati”.
In altre parole, Peronaci non solo appoggia la tesi consolidata in questi giorni per cui Mario Meneguzzi, zio degli Orlandi, non avrebbe avuto nessun ruolo attivo o di mandante nel rapimento della nipote Emanuela, ma più che altro insinua la possibilità che Meneguzzi fosse “ricattabile”. Secondo Peronaci il sequestro sarebbe connesso con “un ricatto su più livelli”, relativo agli esordi del caso, “quando ci furono evidenze che ci portavano a ritenere che la pista internazionale e quella economica legata allo Ior si intrecciassero”. E il rapimento sarebbe connesso anche a molteplici soggetti presuntamente implicati: dagli ambienti ecclesiastici alla criminalità organizzata, fino ai servizi segreti deviati e alla massoneria.
Nei giorni scorsi era stato sentito dal Corriere della Sera un poliziotto che aveva indagato fin dal primo momento e per 20 anni sul caso Orlandi. E sebbene il militare abbia chiarito più volte che Meneguzzi non avrebbe avuto nessun ruolo nel sequestro della nipote, eventualità comprovata dalle numerose indagini svolte sul suo conto, ha anche spiegato che lo zio avesse molte conoscenze nei servizi segreti, dato che lavorava al bar della Camera: “Aveva conoscenze, amicizie, poteva bussare a porte che alla famiglia sarebbero state invece precluse”.
Il giornalista ha evidenziato come altre giovani cittadine vaticane fossero pedinate all’epoca e l’allarme fosse stato lanciato già nel 1981, quando ci fu l’attentato a papa Giovanni Paolo II. E che Emanuela Orlandi, solo a marzo 1983, fosse diventata cittadina vaticana. “Nessuno ci ha raccontato questo cambio di cittadinanza evidentemente funzionale al fatto che da cittadina vaticana il Papa se ne sentisse coinvolto - ha chiosato il giornalista - e infatti il Papa rivolge una serie di appelli per la liberazione. Ancora: la ragazza si allontana il 22 giugno e c’è la famosa telefonata a casa in cui dice che le era stato offerto un lavoro strapagato per la Avon. È chiaro che riferiva parole in codice. Avon è l’anagramma di una fondazione pontificia, la Nova, che si occupava delle finanze vaticane e dei soldi girati a Solidarnosc. Si voleva dire, basta con tutti questi soldi in Polonia perché non sono tutti puliti”.
Cosa c’entra Solidarnosc? Questo era il nome del sindacato polacco cattolico che si oppose al comunismo e accelerò la caduta del regime a influenza sovietica - all’indomani dei fatti di Berlino (il crollo del Muro) e alla vigilia di quelli di Mosca (il cosiddetto “golpe di agosto”), all’interno della dissoluzione del Patto di Varsavia.
Accadde però nel 1981 che una nube nera aleggiasse su Solidarnosc: presunti finanziamenti occulti sarebbero stati percepiti dal sindacato, provenienti dallo Ior e dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, che si sarebbe suicidato - ma la sua storia è rimasta per molti versi misteriosa - un anno più tardi, quindi nel 1982.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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