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“Io non ho fatto nulla”: omicidi e ossessioni del "mostro di Genova"

Dieci omicidi brutali, tra sangue e violenza sessuale. Un serial killer schiavo delle sue pulsioni, senza rimorsi e senza pentimenti

“Io non ho fatto nulla”: omicidi e ossessioni di Maurizio Minghella, il "mostro di Genova"
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Violenza, brutalità, pulsioni. Un'evidente componente sadico-sessuale, ma anche l'ossessione per il sangue. Il bulletto di periferia, il pugile, il ballerino scatenato. Maurizio Minghella rientra nell’elenco dei più prolifici assassini seriali italiani, con dieci omicidi inframezzati da quasi vent’anni di carcere. Ma è probabile che abbia taciuto su altri episodi, su altre morti di cui è responsabile. “Il mostro di Genova” o “il serial killer delle prostitute”, tanti i soprannomi collezionati con il passare degli anni da un uomo schiavo dei suoi impulsi, ma mai pentito delle sue azioni truculente.

L'infanzia problematica

Maurizio Minghella nasce a Genova, nei palazzi popolari di Bolzaneto, il 16 luglio del 1958. L’asfissia neonatale gli causa un notevole ritardo nell’iniziare a parlare a camminare, ma l’infanzia è segnata soprattutto dalla separazione dei suoi genitori. La madre deve lavorare per mantenere i suoi cinque figli e si lega a un uomo violento, un alcolizzato aggressivo e manesco. Il futuro assassinio seriale inizia ad accarezzare idee criminali: sogna infatti di strangolare il nuovo compagno della madre, desidera porre fine alla sua vita.

Anni difficili, sia in famiglia che a scuola. Maurizio Minghella non riesce a superare la seconda elementare e mostra i primi segni di violenza: è manesco, è pericoloso. Lasciati gli studi, inizia a lavorare come piastrellista, ma soprattutto inizia a rubare. La sua specialità sono auto e moto, in particolare le Fiat 500 e le Fiat 850, ovvero quelle che sa guidare meglio.

Il ragazzo della val Polcevera inizia ad appassionarsi alla boxe e al ballo, frequentando tutte le balere del genovese. Il primo soprannome è “Travoltino”, in onore del suo idolo John Travolta. Un evento chiave della sua adolescenza è la morte del fratello Carlo, vittima di un incidente stradale. Maurizio Minghella inizia a sviluppare una morbosa attrazione per i morti e comincia a frequentare con regolarità l’obitorio di Genova.

Noto playboy, il futuro serial killer si sposa con la quindicenne Rosa Manfredi. Un’unione nata per caso, o meglio per scommessa. La minorenne è dipendente dagli psicofarmaci, e il matrimonio dura poco. Maurizio Minghella frequenta prostitute senza porsi problemi, ma l’evento a tracciare un solco nella sua vita è un altro: la perdita di un bambino al nono mese di gravidanza a causa di un’overdose da farmaci. Un episodio che traumatizza il killer considerevolmente.

I primi omicidi

Nel 1978, all’età di 20 anni, Maurizio Minghella inizia a uccidere. Tutti gli omicidi hanno la stessa modalità e lo stesso goffo tentativo di occultare le prove. La prima vittima è Anna Pagano, prostituta ventenne uccisa il 9 aprile. Tossicodipendente, la giovane viene massacrata a colpi di pietra. Minghella prova a depistare le forze dell’ordine sfruttando il rapimento di Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo: prende una penna rossa e scrive in stampatello “Brigate Rose”. Un errore di ortografia marchiano, a testimonianza delle sue difficoltà di apprendimento.

Il 18 luglio la seconda vittima: la quattordicenne Maria Catena Alba, conosciuta semplicemente come Tina. La giovane sodomizzata, uccisa e trascinata in un bosco. Anche in questa occasione Maurizio Minghella prova un goffo depistaggio: Tina viene appesa a un albero per simulare un suicidio. Un tentativo vano, ma le forze dell’ordine fermano la persona sbagliata, ovvero l’ex fidanzatino della giovane, poi scagionato dopo pochi giorni.

Il 22 agosto il terzo omicidio, vittima Maria Strambelli. La commessa barese viene stuprata e strangolata con una corda porta-pacchi. Ancora violenza brutale, sempre lo stesso modus operandi. Il suo corpo viene poi gettato in un bosco della periferia genovese, nei pressi dell’autostrada Genova-Serravalle. L’ultima vittima accertata è Vanda Scerra, uccisa il 3 dicembre a Fegino. La 19enne viene soffocata e abbandonata in una scarpata. Tutte le vittime si trovano in periodo mestruale e non è un caso: Maurizio Minghella confermerà agli investigatori di essere ossessionato dal sangue delle mestruazioni, una fissazione tale da renderlo un killer efferato.

Nell’ultimo omicidio Maurizio Minghella commette un errore e viene arrestato dalle forze dell’ordine il 6 dicembre. Dopo decine di ore di interrogatorio, l’assassino crolla e confessa due omicidi, quelli di Maria Strambelli e Vanda Scerra, negando qualsivoglia coinvolgimento con gli altri tre casi. Il giorno dopo accompagna gli investigatori sulle scene del crimine, confermando il presunto raptus. Ma qualcosa cambia dopo qualche giorno: Minghella nega ogni addebito, affermando di essere stato costretto a confessare. Ma le prove lo inchiodano in maniera incontrovertibile. Per questo il 3 aprile del 1981 viene condannato all’ergastolo per quattro omicidi. Gli viene imputato anche l’omicidio di Giuseppina Ierardi, morta nel luglio del 1978. Anche lei strangolata e sodomizzata, ma il suo caso viene ritenuto impossibile da ricostruire con elementi oggettivi.

Il killer delle prostitute

Recluso nel carcere di massima sicurezza di Porto Azzurro, Maurizio Minghella presenta istanza di semilibertà grazie al supporto di don Gallo, in prima linea per concedergli una seconda possibilità. Detenuto modello, diventa falegname e inizia a farsi conoscere come lavoratore serio e puntuale. Nel 1995 viene dunque trasferito a Torino per lavorare in una ditta del gruppo Abele, ottenendo il permesso di semilibertà: costruisce e monta giocattoli in legno per parchi giochi pubblici e privati. In pratica esce dal carcere dalle 17 alle 22.

Ma la redenzione dura poco. Nel marzo del 1997 uccide la prostituta Loredana Maccario nella sua abitazione a San Salvario: la cinquantatrenne viene strangolata con una corda per canotti, dopo un'aggressione fisica e sessuale. Due mesi dopo dopo è la volta della prostituta Fatima H’Didou, anche lei malmenata e stuprata prima dello strangolamento con un laccio.

Passa qualche mese e Maurizio Minghella torna in azione. Il 14 febbraio 1998 uccide a Rivoli la prostituta straniera Floreta Islami: la 29enne viene strangolata con una sciarpa. Poi il 30 gennaio 1999 vittima la 67enne Cosima Guido, anche lei prostituta. La tarantina viene ammazzata con il suo foulard beige. A differenza delle altre vittime però il cadavere è perfettamente vestito.

Nel febbraio del 2001 Maurizio Minghella uccide Tina Motoc, prostituta 20enne. La romena viene costretta a spogliarsi con la forza, presa a sassata e poi strangolata. Una fine atroce, al freddo e al gelo. Ma non è tutto. Il killer prova a bruciare il cadavere, senza successo, come testimoniato dai segni di bruciatura rinvenuti in varie zone del corpo.

Quello della Motoc è l’ultimo assassinio di Maurizio Minghella. Le forze dell’ordine trovano tracce di Dna nei luoghi dei delitti e altre prove significative, a partire dalle tracce di peridotite (roccia rara e presente in enorme quantità sulla scena dell’ultimo crimine) sulla suola delle sue scarpe. Senza dimenticare il modus operandi e gli orari dei delitti, tutti compatibili con il regime di semilibertà.

L’arresto e il fine pena mai

Maurizio Minghella viene arrestato il 7 marzo del 2001. Nella sua abitazione vengono trovati i cellulari delle vittime con il numero di matricola delle Sim cancellato. In particolare il serial killer aveva regalato il telefonino della Motoc alla sua compagna come dono per San Valentino.“Io non ho fatto nulla”, la sua replica alle accuse. Nega, si dichiara innocente, si avvale della facoltà di non rispondere.

Maurizio Minghella inizia uno sciopero della fame, ma le indagini confermano la tesi sempre di più. Non ha alibi per gli omicidi, anzi: in alcuni giorni si è assentato dal lavoro o si è dato malato, tornando in carcere all’ultimo minuto. Il genovese professa la sua innocenza, ma allo stesso tempo prova due volte l’evasione. La prima nella primavera del 2001, attraverso un locale della lavanderia del carcere delle Vallette di Torino, arrivando al primo muro di cinta. La seconda nel gennaio 2003, quando si fa ricoverare per dolori a petto e braccio; riesce a fuggire dalla finestra del bagno del Pronto Soccorso, per poi salire a bordo di un treno in transito e recarsi a Biella. La fuga termina qualche ora dopo: confesserà che il suo obiettivo era quello di uccidere il pubblico ministero Sparagna.

Il 4 aprile 2003 Maurizio Minghella viene condannato dalla Corte d'Assise di Torino all'ergastolo per l'omicidio della Motoc e a 30 anni di carcere per gli omicidi di Cosima Guido e Fatima H'Didou.

Attualmente sta scontando la pena in una prigione di massima sicurezza.

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