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"Punisco i maschi": e Milena divenne la vedova nera dell'Oltrepò

Tre uomini uccisi dopo violenze e abusi sessuali, ma resta ancora qualche dubbio sull'effettivo bilancio delle vittime di Milena Quaglini

Milena Quaglini e il marito Mario Fogli
Milena Quaglini e il marito Mario Fogli
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“Non sopporto chi mi usa violenza, così punisco i maschi violenti uccidendoli”: una frase che riassume alla perfezione chi era Milena Quaglini, la vedova nera del Pavese. I maltrattamenti, gli abusi sessuali, le umiliazioni: tante le sofferenze affrontate, tante le angherie da vendicare. Traumi originati dalla figura paterna e mai sanati. Le serial killer donne non sono molte, per questo motivo risaltano spesso più degli uomini: lei e Leonarda Cianciulli sono le assassine seriali italiane più conosciute. E condividono un aspetto macabro: il dubbio sull’effettivo bilancio delle vittime. Secondo molti esperti, la Quaglini potrebbe aver lasciato dietro di sé almeno un’altra morte.

L'infanzia e il vero amore

Milena Quaglini nasce il 25 marzo del 1957 a Mezzanino, nella pianura dell’Oltrepò pavese, alla destra del Po. Il padre è un alcolista dedito alla violenza nei confronti della moglie e delle due figlie. Un uomo prepotente, geloso e ossessivo. Le violenze rivestiranno un ruolo fondamentale nella formazione della personalità di Quaglini, fino alla detonazione nell’età adulta. La madre invece è una casalinga che non riesce ad affrancarsi dalla ferocia del marito.

La (breve) nuova vita

Diplomatasi in ragioneria a Pavia, a 19 anni Quaglini decide di scappare di casa e inizialmente si guadagna da vivere come cassiera, badante e donna delle pulizie, spostandosi prima a Como e poi a Lodi. Una fuga dettata dalla necessità di libertà – le violenze del padre non erano più sopportabili – ma anche dall’amore. Milena Quaglini infatti conosce un uomo che ha quindici anni più di lei, lo sposa e dal loro amore nasce un figlio. Tutto procede a gonfie vele, ma purtroppo l’uomo si ammala e muore in maniera improvvisa.

Il secondo matrimonio

Dopo la morte del marito, Milena Quaglini decide di tornare a Pavia. Va ad abitare a Travacò e inizia a partecipare attivamente alla politica, fondando l’associazione “Donne padane della Lega”. Passa qualche mese e conosce un altro uomo, Mario Fogli. Dopo un'assidua frequentazione, i due decidono di fare sul serio e convolano a nozze. Dopo il sì in municipio però qualcosa si rompe. La vita di coppia cambia radicalmente, Fogli la obbliga a lasciare il lavoro per timore di tradimenti e la quotidianità è sempre più monotona.

Nonostante ciò, Milena Quaglini e il marito diventano genitori di due figli, uno dietro l’altro. Ma le difficoltà economiche sono incombenti – l’uomo lavora saltuariamente – tanto che un giorno arriva a casa l’ufficiale giudiziario per effettuare un pignoramento. La donna non sapeva di una sentenza di fallimento e scoppia l’ennesimo violento litigio. A gettare benzina sul fuoco inoltre è il rapporto tutt’altro che roseo tra Fogli e il primo figlio di Milena, nato dal primo matrimonio. Stufa ed esausta, la donna dice basta: sì alla separazione e via, alla volta del Veneto.

La prima vittima

Milena Quaglini insieme al primo figlio e a una delle due figlie avute da Fogli parte alla volta del Veneto, dove inizia a lavorare come collaboratrice domestica e portinaia in una palestra. Una delle case frequentate è quella dell’anziano Giustino Della Pozza, professione usuraio e prima vittima della vedova nera. È il 25 ottobre del 1995: la Quaglini aveva chiesto 4 milioni di lire in prestito all’83enne per comprare il motorino al figlio. Dopo aver pattuito le modalità della restituzione, Della Pozza pretende delle prestazioni sessuali.

Milena Quaglini però non accetta l’offerta dell’usuraio, memore delle violenze subite durante l’infanzia. Di fronte all’ennesima molestia di Della Pozza, la donna lo colpisce alla testa con la lampada di un comodino. Poi lascia l’abitazione e vi fa ritorno tre ore dopo, fingendo di trovare il corpo privo di sensi dell’anziano e contattando il 118. L’uomo muore dopo qualche giorno, nessun sospetto sulla Quaglini: le autorità collegano il delitto all’ambiente criminale, complice l’attività da strozzino della vittima.

La vedova nera del Pavese

Milena Quaglini decide dunque di tornare nel Pavese, a Broni a casa del marito, con l’obiettivo di provare a ricostruire la famiglia. Ma la donna non sta bene – soffre di crisi depressive – ha problemi con l’alcol e le cose tra le mura domestiche non vanno per il meglio. Il coniuge continua a umiliarla e a essere violento, arrivando a torturare il primo figlio. Tensioni, litigi e botte.

Più forte mentalmente dopo il primo omicidio, Milena Quaglini dice basta. Il 2 agosto del 1988 vede il marito addormentato sul letto e ne approfitta per stordirlo con un cofanetto di legno. Poi lo lega e lo strangola con la corda di una tapparella. Successivamente, porta il cadavere sul balcone e lo lascia avvolto in un tappeto. Le figlie, 5 e 8 anni, non si accorgono di niente. La donna spiega che è andato via per lavoro.

Ma il peso è difficile da sopportare: il giorno dopo chiama i carabinieri per confessare quanto accaduto. Racconta le liti, le botte, le brutali aggressioni. Ripercorre anche i tentati suicidi a causa di questa situazione insostenibile. A darle man forte, le testimonianze della madre, della sorella, delle figlie e di alcuni vicini di casa. Milena Quaglini viene condannata a 14 anni di carcere con attenuanti e le viene riconosciuta la semi-infermità mentale. Dopo un anno dietro le sbarre, la donna viene trasferita in una clinica del Pavese per seguire un programma di disintossicazione dall’alcol.

Il terzo omicidio

Nella clinica scelta per disintossicarsi Milena Quaglini incontra un uomo che si offre di ospitarla nella sua casa di Bressana per gli arresti domiciliari. Dopo qualche giorno però scappa, convinta che anche lui voglia abusare di lei, e risponde a un annuncio su una rivista per un posto di domestica in una casa di Bascapè. La Quaglini incontra così Angelo Porrello, tornitore di 53 anni appena abbandonato dalla moglie e dalle tre figlie. Un uomo con parecchi scheletri nell’armadio – a partire dalla condanna a sei anni di reclusione per violenza sessuale su minori.

Il 6 ottobre Milena Quaglini firma il suo terzo omicidio. Dopo due giorni di convivenza, Porrello prima la assale fisicamente e poi la violenta. L’uomo prova un altro approccio sessuale, ma la Quaglini riesce a fermarlo e ad allontanarsi con la scusa di fare un caffè. Ma nella tazzina del 53enne scioglie dieci pasticche di sonnifero Halcion e alcune pasticche di un antidepressivo. L’uomo se ne accorge quando ormai è troppo tardi: il mix è già entrato in circolo. Milena Quaglini prova a nascondere il cadavere in un letamaio poco distante dall’abitazione a cancellare le tracce. Il corpo verrà rintracciato dopo venti giorni ma nessuno pensa subito alla vedova nera del Pavese.

Milena Quaglini torna dunque a casa dell'uomo che si era offerto di ospitarla per i domiciliari, ma deve fare i conti con un imprevisto. Dopo essere stata pizzicata fuori casa di notte due giorni prima, il 7 ottobre rimane fuori casa senza chiavi e verso mezzanotte contatta i vigili del fuoco. Insieme ai pompieri arrivano i carabinieri, che optano per la revoca definitiva degli arresti domiciliari. La donna torna dunque nel carcere femminile di Vigevano. Nel frattempo viene trovato il corpo di Porrello e le indagini portano a galla la verità: l'uomo conosceva molto bene Milena Quaglini. Dopo aver negato ogni responsabilità, la vedova nera del Pavese confessa.

La morte

Il 13 ottobre del 2000 si conclude il processo per l’omicidio di Mario Fogli: i giudici riconoscono il vizio parziale di mente e dimezza la condanna, da 14 a 6 anni e 8 mesi. Il 2 febbraio del 2001 Milena Quaglini viene condannata a 1 anno e 8 mesi per eccesso colposo di legittima difesa nel processo per la morte del signor Giusto. Il 16 ottobre 2001, alla vigilia della sentenza per l’omicidio di Angelo Porrello, la Quaglini decide di farla finita: all’1.50 viene trovata impiccata a una corda nella sua cella. Nonostante il repentino intervento dei sanitari, per lei non c’è niente da fare: alle 2.

15 di quella notte i medici non possono fare altro che constatarne il decesso.

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