Cronaca nera

"È in Italia coi servizi sociali". In un video il padre di Saman in tribunale

Il padre di Saman Abbas è fuggito di fronte ai giornalisti e ha detto al giudice che la figlia è in affidamento in Italia: una strategia per non farsi estradare?

Screen "Quarto grado"
Screen "Quarto grado"

L’eventuale estradizione per il padre di Saman Abbas pare non si possa ottenere in tempi brevi. Shabbar Abbas, apparso in un’udienza nei giorni scorsi nel tribunale di Islamabad, sarà infatti riascoltato dal giudice la prossima settimana. Ed è probabile che gli venga domandata nuovamente la sua versione. L’uomo è accusato di sequestro, omicidio e occultamento di cadavere: la figlia Saman, scomparsa a Novellara la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021, si ritiene sia stata uccisa in una presunta congiura famigliare perché si era opposta al matrimonio forzato.

Le telecamere di Quarto Grado hanno cercato di riprendere Shabbar nel tribunale di Islamabad, ma i giornalisti sono stati cacciati da un poliziotto che ha detto loro: “Non può riprendere, è prigioniero di massima sicurezza”. Shabbar da parte sua ha cercato di coprire il volto, prima con le mani, poi con un cappello e una mascherina. Anche il suo avvocato pakistano si è coperto, prima con la mano e poi con una sciarpa. Sono fuggiti di fronte alle domande dei cronisti.

L’udienza di Shabbar è durata solo tre quarti d’ora circa. Ai giudici l’uomo ha pronunciato solo queste parole: “Mia figlia è viva, è in Italia, l’hanno presa in affidamento i servizi sociali italiani”. Non si sa se si tratti di una strategia, ma potrebbe risultare insolita, soprattutto alla luce delle rivelazioni di Danish Hasnain sul luogo dell’occultamento del cadavere. Ci potrebbe essere quindi al processo che inizierà in Italia a febbraio 2023 un twist imprevisto: Danish è stato indicato sempre come l’esecutore materiale del delitto, ma forse i presunti ruoli dei cinque rinviati a giudizio (il padre Shabbar, lo zio Danish, la madre Nazia Shaheen, i cugini Ikram Ikaz e Noumanoulaq Noumanulaq) è possibile siano meno netti di quanto si sia immaginato.

Tanto più che resta agli atti quell’intercettazione in cui Shabbar dice: “Ho ucciso mia figlia, l’ho fatto per il mio onore”. In studio a Quarto Grado, Riziero Angeletti, il legale dell’Unione delle Comunità Islamiche in Italia, si è chiesto se la frase sia da intendersi in modo letterale o metaforica

È difficile capire che cosa sia - ha spiegato l’avvocato - È certamente penosa sotto ogni aspetto. Non è possibile neanche immaginare cosa si sia sviluppato intorno a questa mente così assurda.

Ciò che oggi viene a raccontare, oltre a quello che già sappiamo, oltre quello che emerge dagli atti, le prove direi quasi inconfutabili, vogliamo discutere se si tratta di un mandante? Non è un mandante qualsiasi, se fosse mandante: è il padre”.

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