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Una palla di fuoco contro la Montagna Longa: così si schiantò l'Alitalia 112

La sciagura, tra le più gravi d'Europa, è avvenuta il 5 maggio 1972 a Palermo

Una palla di fuoco contro la Montagna Longa: così si schiantò l'Alitalia 112

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Una palla di fuoco contro la Montagna Longa: così si schiantò l'Alitalia 112

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È il 5 maggio 1972, sono le 22,24, quando un DC-8 di Alitalia, sigla AZ 112, proveniente da Roma Fiumicino, precipita contro Montagna Longa, tra i Comuni di Carini e Cinisi, nel Palermitano, a 5 miglia dall’aeroporto Punta Raisi. Una palla di fuoco si schianta sulla montagna e non lascia scampo alle 115 persone a bordo, 108 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio. Nel giro di pochi secondi muoiono tutti, lasciando 98 orfani e 50 vedove. Quello di Montagna Longa, che ha squarciato la quiete di una sera quasi estiva, con un cielo terso e nessun alito di vento, è stato a lungo definito come il peggior incidente dell’aviazione italiana, fino a quello di Linate del 2001 dove morirono 118 persone. In tutti questi anni si sono rincorse molte ipotesi su questa sciagura. Ma nel 1972 il processo si concluse attribuendo la responsabilità ai piloti (il comandante Roberto Bartoli e Bruno Dini) e il tecnico motorista Gino Di Fiore. Una sentenza che non ha mai convinto i familiari dei passeggeri, che non si rassegnano. Oggi, in cima a Montagna Longa, a 975 metri di altezza, c’è una croce che ricorda quelle vittime.

L'ipotesi dell'attentato

Quella sera, il volo registra 25 minuti di ritardo. L’ultimo contatto con la torre di controllo avviene alle 21,10, quando il comandante Roberto Bartoli comunica di prepararsi a completare la manovra di avvicinamento e di atterraggio sulla pista 25 dello scalo palermitano. Dall'aeroporto arriva l'autorizzazione a iniziare della discesa. Dopo poco più di un’ora, lo schianto. Da allora, vengono avanzate diverse ipotesi: subito dopo la strage, il fratello di un carabiniere morto nello schianto sostiene che l’aereo sia stato abbattuto durante le esercitazioni della Nato nel cielo palermitano. E ancora, nel 1976, il vicequestore Giuseppe Peri raccoglie testimonianze che lasciano intendere che la causa di quell’inferno sia un attentato. Diversi punti non convincono il funzionario della Polizia di Stato: i passeggeri erano tutti senza scarpe - e questo fa pensare che il pilota avesse predisposto l’atterraggio di emergenza -; alcuni testimoni riferirono di aver visto l’aereo in fiamme ancora in volo, prima dello schianto; i corpi dei passeggeri erano tutti disintegrati. Ma del fascicolo di Peri viene persa ogni traccia, fino al 1997, quando Maria Eleonora Fais, sorella di Angela, giornalista del quotidiano L’Ora, quella sera a bordo del DC9, lo ritrova a Marsala. Intanto il vicequestore era morto nel 1982.

L'ipotesi di una bomba

Nel 2022, la perizia dell’ingegnere Rosario Ardito Marretta - al quale l’Associazione parenti delle vittime di Montagna Longa nel 2017 aveva commissionato un’indagine - sostiene che a causare il disastro aereo sarebbe stata una bomba. Marretta ne parla nel libro Unconventional aeronautical investigatory methods, pubblicato da Cambridge Scholars Publishing. In particolare, Marretta, docente di Aerodinamica e dinamica dei fluidi dell’Università di Palermo, nel libro scrive che “una micro carica esplosiva posta in un incavo dell’ala avrebbe potuto creare uno squarcio con perdita di carburante e relativo incendio”. Alla conclusione, l'esperto sarebbe arrivato attraverso prove di laboratorio, analisi e modelli matematici di cui non si disponeva negli anni Settanta del secolo scorso. Ma per il Tribunale di Catania, questa perizia, seppur corretta dal punto di vista scientifico, è solo un’opinione e non basta ad aprire una nuova inchiesta.

L'errore umano

In tutti questi anni, si sono succedute tre indagini: la prima, avviata subito dopo il disastro, dura due settimane e viene svolta dalla commissione ministeriale; la seconda, gestita dalla procura di Palermo, viene poi passata ai magistrati di Catania, che conducono la terza. Al centro di tutte e tre resta l’errore umano alla base dell'incidente. Un errore commeso da piloti molto esperti, dal momento che Bartoli - con un curriculum di tutto rispetto e che aveva persino accompagnato il Papa Paolo VI a Nuova Delhi - era atterrato a Palermo decine di volte, l’ultima appena un mese prima. Secondo i giudici quella sera il comandante non si accorse di trovarsi vicino alle montagne.

Del resto poche informazioni sono state ricavate dalla scatola nera, che sette ore dopo l’ultima manutenzione (avvenuta cinque giorni prima il disastro aereo) aveva smesso di funzionare.

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