Cronache

"Fuori in 50 secondi": la liberazione che segnò la fine delle Br

L’inizio della fine per le Brigate Rosse, l’ingresso nel mito dei Nocs. Dopo 40 anni, il racconto di come è stato liberato il generale James Lee Dozier

James Lee Dozier fuori in 50 secondi: la liberazione che segnò la fine delle Br

Partiamo dalla fine.

È una mattina gelida di fine gennaio quella in cui si sveglia Padova. Alle prime luci dell’alba la città sembra ancora bloccata nella morsa dell’inverno, ma in via Pindemonte c’è uno strano fermento. Se ne accorgono i primi passanti. Gente che va al lavoro o qualche anziano a passeggio. Una ruspa fa avanti e indietro, il conducente sembra indeciso. Eppure non sembra ci siano lavori in corso. Passa qualche ora, verso le undici di mattina da un lato della strada sbuca un camion della Domenichelli Trasporti. Nonostante la strada piuttosto stretta il camion fa una manovra e - in retromarcia - si porta con il cassone in corrispondenza all’ingresso del condominio al civico 2. Ora la ruspa si avvicina al camion, il frastuono è totale.

E in quel frastuono, mentre da ambo i lati della strada sbucano altre macchine che vanno a fermarsi nei pressi della stessa palazzina, dal cassone del camion scendono di corsa sei uomini. I volti travisati da sottocaschi neri.

Entrati dall’ingresso principale, in tre prendono l’ascensore, mentre altri tre salgono le scale. Si ritrovano al primo piano. Il silenzio è assoluto. Tutti estraggono la pistola, uno di loro si toglie il mephisto, un altro – il più grosso – conta a grandi falcate il pianerottolo. Per un secondo sembra perdersi in qualche valutazione mentale, poi, caricando come un toro a testa bassa, si lancia con tutta la sua forza contro la porta di un appartamento. Con un boato i cardini saltano e la porta di legno sparisce all’interno dello stabile, andandosi a schiantare a terra seguita dall’ariete umano, che – sbilanciatosi – caracolla al centro di un salone d’ingresso.

Il luogo in cui le Brigate Rosse avevano tenuto prigioniero il generale James Lee Dozier
Il luogo in cui le Br avevano tenuto prigioniero il generale James Lee Dozier

Una ragazza all’interno dell’appartamento non fa neanche in tempo a urlare per lo spavento. Cinque uomini vestiti di nero irrompono dal varco dove prima c’era la porta. Uno di loro, quello a volto scoperto, la afferra tappandole la bocca, lei tira calci, ma non serve a niente. Intanto l’ariete umano si è rialzato da terra e segue i suoi compagni lungo il corridoio, dove si aprono stanze sia a destra che a sinistra. Sceglie la prima sulla destra e la scena che gli si para davanti per un secondo lo paralizza.

Mentre dalle altre stanze si sentono tonfi e grida strozzate, di fronte a lui un uomo in piedi punta una pistola silenziata sulla tempia di un altro uomo in ginocchio, prostrato di fronte all’ingresso di una tenda da campeggio. L’uomo in ginocchio incrocia il suo sguardo da dietro il sottocasco. In quel momento nella stanza arriva un altro uomo mascherato. Il giovane armato di pistola ha un sussulto ed è in questa frazione di secondo che l’ariete umano agisce: con uno scatto afferra il braccio armato del ragazzo e lo sposta verso l’alto, mentre con la mano rimasta libera, abbatte il calcio della pistola sulla sua testa. Neutralizzato.

È passato meno di un minuto. Senza sparare nemmeno un colpo, sei agenti di polizia del nucleo speciale dei Nocs catturano i brigatisti Antonio Savasta, Emilia Libera, Giovanni Ciucci, Cesare di Lenardo ed Emanuela Frascella, e liberano il generale americano James Lee Dozier. È il 28 gennaio 1982, il generale era stato rapito 43 giorni prima, il 17 dicembre 1981, dall’appartamento di Verona in cui viveva con sua moglie.

Un rapimento tanto clamoroso quanto assurdamente facile, se è vero che i cinque brigatisti (Antonio Savasta, Barbara Balzerani, Pietro Vanzi, Ugo Milani e Cesare Di Lenardo), vestiti da idraulici, si limitarono a bussare alla porta di quello che allora era il sottocapo di Stato maggiore addetto alla logistica del Comando delle forze terrestri della Nato nell’Europa meridionale.

Sono passati quarant’anni da quella che è stata una delle cacce all’uomo più intense mai avvenute in Italia e da quello che viene indicato generalmente come l’inizio della fine delle Brigate Rosse. Una caccia all’uomo entrata in un certo senso nella leggenda. E, come in ogni leggenda, i chiaroscuri non mancano, così come le tante variazioni sul tema di come siano andate esattamente le cose. In occasione del quarantennale, IlGiornale.it ha avuto l’opportunità di intervistare alcuni tra i protagonisti di questa vicenda, come l’allora giovane vice comandante dei Nocs, Edoardo Perna, che ha ricostruito per noi gli attimi concitati della liberazione.

Non è in questi cinquanta secondi che si annidano le ombre di una storia fatta di coraggio, ma anche di intrighi, di paura e di sopraffazione. C’è un prima e un dopo. Un prima caratterizzato dall’individuazione del covo brigatista e un dopo in cui emerge il lato oscuro di anni difficili. Qui s’intrecciano contraddizioni, ricordi talvolta discordanti, verità che – forse – non emergeranno mai completamente.

Ma questa è un’altra storia.

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