Politica

Il Colle e la centralità del Cavaliere

Quel processo non avrebbe dovuto cominciare, ma l'assoluzione di Silvio Berlusconi in quello spezzone del Ruby Ter dimostra che un minimo di Giustizia c'è pure in Italia

Il Colle e la centralità del Cavaliere

Quel processo non avrebbe dovuto cominciare, ma l'assoluzione di Silvio Berlusconi in quello spezzone del Ruby Ter finito a Siena, da una parte dimostra che un minimo di Giustizia c'è pure in Italia, dall'altra è l'ennesima prova che il Cavaliere è oggetto da quasi trent'anni, cioè dal suo ingresso in politica, di una persecuzione delle procure. Il personaggio è stato individuato come il pilastro della Seconda Repubblica, di un bipolarismo di fatto basato sul suo nome, e per la magistratura più interventista, quella che ha sempre puntato a ridurre gli spazi della politica, è diventato il bersaglio da abbattere.

Del resto, se ce ne fosse stato il bisogno, gli ultimi giorni hanno dimostrato come Berlusconi sia uno dei punti di equilibrio del sistema: Enrico Letta ne ha tessuto le lodi, ricordando, quasi con nostalgia, i tempi in cui svolgeva il ruolo di federatore del centro-destra; dopo l'insuccesso alle amministrative Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono stretti a lui come non mai negli ultimi mesi, hanno cercato conforto; e ieri in Europa, in quell'incontro con la Merkel, si è capito come il Cavaliere sia il garante del centro-destra italiano presso le cancellerie europee e Oltreoceano.

Insomma, tutti ne riconoscono, in un modo o nell'altro, la «centralità». Anche perché basta dare un'occhiata ai sondaggi per scoprire che Forza Italia, anche con le percentuali di oggi, è indispensabile per assicurare la governabilità al Paese e al centro-destra per vincere. Ecco perché, se si ha un minimo di onestà intellettuale e si fa un'analisi corretta del momento, non si può non riconoscere che Berlusconi, specie dopo la sentenza di ieri, entra di diritto nella rosa dei papabili per il Quirinale. Piaccia o no.

E in fondo il suo nome, come ho già scritto, sarebbe il più pregnante dal punto di vista politico. Intanto perché aprirebbe la strada ad una vera «pacificazione» di cui un Paese che vuole risorgere dopo la tragedia del Covid ha assoluto bisogno. Inoltre affidando all'uomo simbolo della Seconda Repubblica un ruolo di garanzia si chiuderebbe la Storia degli ultimi trent'anni con tutte le sue contraddizioni, le sue guerre, le sue persecuzioni e si aprirebbe l'Italia al futuro. In ultimo, per dirla tutta pensando l'ennesimo verdetto di assoluzione (ormai non se ne conosce il numero), si darebbe al personaggio un riconoscimento, o meglio, un risarcimento più che dovuto.

A ben guardare converrebbe a tutti, se si ragionasse senza guardare agli schieramenti. In fondo pure a Mario Draghi: la scelta di lasciare oggi Palazzo Chigi, quando il Paese è ancora in mezzo al guado, potrebbe essere considerata una diserzione; senza contare che con il Parlamento che non ha nessuna voglia di andare a votare la sua elezione a scrutinio segreto si trasformerebbe in un terno al lotto.

Invece, la prossima volta l'attuale premier andrebbe al Quirinale portato sugli allori.

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