Coronavirus

A chi serve Corbevax, il vaccino italiano che nasce dal lievito

Il vaccino italiano che nasce dal lievito potrebbe aiutare i Paesi sottosviluppati a fermare la pandemia: ecco cos'è Corbevax e perché non è stato brevettato

Corbevax, a chi serve il vaccino italiano che nasce dal lievito

Il merito della nascita del siero italiano Corbevax è soprattutto di Maria Elena Bottazzi, co-direttrice del Centro per lo Sviluppo di Vaccini del Texas Children's Hospital e Baylor College of Medicine di Houston, un centro che raccoglie istituzioni private e senza scopo di lucro. Nata a Genova da madre italiana e padre honduregno, a 9 anni va prima in Honduras e poi si trasferisce definitivamente negli Stati Uniti. Il suo vaccino è già utilizzato in India da fine 2021 ma l'obiettivo è arrivare anche a tante altre aree del globo dove Pfizer e Moderna scarseggiano. Non ha grandi tecnologie, motivo per cui si può produrre facilmente su larga scala ed efficace all'80% contro la precedente variante, Delta, più pericolosa rispetto a Omicron. La mancanza del brevetto, come detto, è per consentire un basso costo di produzione e distribuirlo facilmente in Africa e Sudamerica.

Cosa si crea dal lievito

Tutto inizia più di dieci anni fa, quando al Baylor College la Bottazzi e i suoi colleghi hanno iniziato a sviluppare vaccini contro Sars e Mers. "Siccome il Sars-CoV-2 è simile al virus Sars, con una sequenza simile per la proteina Spike, abbiamo sviluppato il vaccino per Sars-CoV-2", afferma a Repubblica la ricercatrice. Molto interessante il metodo di creazione del siero anti-Covid, simile a quello che porta alla produzione della birra. "Come antigene non usiamo la proteina Spike completa, ma solo il pezzettino della Spike che il virus usa per entrare in contatto con le cellule. Produciamo queste proteine sintetiche introducendo i geni della proteina Spike in una cellula di lievito. Poi, con la fermentazione, il lievito produce le proteine. È un sistema simile alla produzione della birra, solo che in quel caso con la fermentazione il lievito produce alcol, mentre nel nostro caso produce le proteine utili a vaccinare", spiega.

"Si può produrre ovunque"

Ai collaboratori indiani della Biological E., la Bottazzi e i ricercatori hanno dato loro le cellule di lievito con il codice "per produrre la proteina sintetica e abbiamo cosviluppato con loro i processi di produzione con i test di stabilità e controllo di qualità", aggiunge. A questo punto, dopo averne testato l'efficacia, è iniziata la produzione che arriva fino a 100 milioni di dosi al mese. Oltre all'India, si sta lavorando con aziende in Indonesia, Bangladesh, Botswana (in Africa) ma anchge con gli Stati Uniti per allargare la produzione (e quindi la distribuzione). "È tutto molto aperto: non abbiamo esclusività con nessuno e non abbiamo registrato brevetti per questa tecnologia. I nostri studi sono tutti pubblicati e permettono a qualsiasi produttore di replicare questi processi di produzione", spiega la ricercatrice italiana.

Il "vantaggio" di usare il lievito

L'idea del lievito nasce per abbattere i costi richiesti dalle cellule di mammifero che costano maggiormente. "Il lievito è uno dei modelli meno costosi ed è il più facile per produzioni su scala molto grande, anche di miliardi di dosi. E ci sono già tanti produttori che sanno come usarli, quindi per produrre il vaccino non serve costruire nuove fabbriche, o acquistare nuovi macchinari, o assumere più persone". I costi: meno di tre dollari a dose contro 20-30 dollari per ogni dose di vaccino a Rna di Pfizer e Moderna, in pratica 10 volte meno. E poi, possono essere facilmente conservati in frigorifero rimanendo stabili a lungo, anche per anni. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, nel trial indiano si è osservata "una riduzione del 50% rispetto agli effetti collaterali del vaccino distribuito in India da AstraZeneca. Il vaccino contiene la proteina purificata sintetica, con un adiuvante a base di allume che si usa già da 40-50 anni nella maggioranza dei vaccini pediatrici ed è quindi molto sicuro", sottolinea Maria Elena Bottazzi a Repubblica.

Immunizzare il mondo: un vaccino "universale"

Lo dicono gli esperti in tutte le salse: con il Covid si deve ragionare in termini di Sanità globale, perché se il virus continuasse a circolare in un qualsiasi angolo del pianeta non coperto dal vaccino, la pandemia potrebbe ripartire così come è accaduto da Wuhan due anni fa. I vaccini devono arrivare "soprattutto nelle zone più prive di risorse: è lì che dobbiamo mettere più barriere immunitarie, perché il virus finisca di mutare". Oltre a questo primo obiettivo, il secondo a cui si lavora da tempo è il raggiungimento di un vaccino universale che consenta di non star sempre dietro alle varianti e che offra una protezione sufficientemente lunga.

Fondamentalmente, le strategie sono due: "o realizzare un vaccino multivalente, dove si mescolano diversi tipi di antigeni così da poter neutralizzare il maggior numero possibile di varianti, oppure si dovrebbe isolare una sequenza che compare in tutte le varianti, così da usare come antigene una proteina sintetica che non esiste nella realtà ma che è sufficientemente simile a quella presente in tutte le manifestazioni del virus, così che il nostro corpo possa produrre una risposta immunologica adeguata", conclude la Bottazzi.

Commenti