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Il dramma che ha ridato dignità al calcio

Il calcio è capace di questi miracoli. Non solo quello, certificato dalle parole del medico della nazionale danese ("Chris era morto, non so come abbiamo fatto"), che ha riportato alla vita Eriksen

Il dramma che ha ridato dignità al calcio

Il calcio è capace di questi miracoli. Non solo quello, certificato dalle parole del medico della nazionale danese («Chris era morto, non so come abbiamo fatto»), che ha riportato alla vita Eriksen e tolto dall'anonimato pallonaro la figura quasi eroica di Simon Kjaer, il suo capitano, verrebbe da dire il nostro capitano ormai. C'è qualcosa d'altro, di un mondo capovolto addirittura, che il terrore vissuto sabato sera a Copenaghen e in giro per il mondo è riuscito a produrre. Ha spazzato via la crosta che avvolgeva il mondo del calcio, attraversato dai rancori non ancora sopiti per la Superlega e le minacce quotidiane di Ceferin. Ha dimenticato in fretta le polemiche da quattro soldi per qualche rigore negato che ci portiamo dietro con un retrogusto di provincialismo d'antan. Ha spedito nel cestino dei rifiuti da non riciclare l'idea malsana che la categoria fosse abitata solo da calciatori irriconoscenti e dai loro golosi agenti, trasformati in assalitori della diligenza di club con bilanci ridotti al default dalla pandemia. Ha fatto, insomma, giustizia di quella narrazione secondo cui il calcio di queste ultime settimane sarebbe diventato il pianeta esclusivo dei tifosi, padroni di tutto, delle emozioni e dei bisogni, addirittura degli stessi tornei.

Per fortuna, oltre a salvare una vita, che è sempre un capolavoro da raccontare, la vicenda di Copenaghen ha rimesso al centro del nostro villaggio la figura di calciatori-uomini che sono l'espressione meno pubblicizzata di questo Europeo nato per uscire dalla prigione del lockdown e trasformato adesso in una liberazione perché gli stadi sono tornati ad animarsi, a vivere insomma, a togliere l'eco di berci lanciati nel deserto e a valorizzare il comportamento di uomini puri che s'inventano anche infermieri, capaci dei primi soccorsi se vedono un loro sodale riverso per terra con la lingua attorcigliata.

Di tutto questo abbiamo bisogno per recuperare il senso più antico del calcio e il ruolo dei suoi protagonisti, che restano quei ragazzoni in maglietta e pantaloncini, con le scarpe colorate ai piedi e il sole nei capelli quando rincorrono un pallone come se inseguissero la felicità. Dovremo ricordarcene quando dimenticheremo - perché accadrà, certo che accadrà - quello che è accaduto sul prato verde smeraldo di Copenaghen e innalzeremo qualche altarino profano. Dovremo anche ricordare che, come per un secondo miracolo, ieri sui social di Milano, divisa sui due fronti calcistici in eterna lotta, c'è stata una riconciliazione storica.

Gli ultrà rossoneri hanno pubblicato la foto di Eriksen, quelli interisti la figura di Kjaer e non vedono l'ora di vederli correre a San Siro, uno al fianco dell'altro, per un abbraccio collettivo che segnerà - forse - l'inizio di un'altra era calcistica.

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