È l'ultima versione della gogna: quella che ricopre le pietre di soffice ipocrisia. Luca Morisi cade, chiede scusa per le proprie debolezze e tutti gli saltano addosso ripetendo lo stesso ritornello. Afferma Matteo Renzi: «Non faremo a Morisi quello che la Bestia ha fatto a noi in vicende molto meno serie». La ministra pentastellata Fabiana Dadone va oltre: «Chi citofonerà a casa di Salvini?», è la battuta con cui allude all'episodio avvenuto alla periferia di Bologna, quando il leader della Lega andava a caccia di spacciatori. Usano tutti le stesse parole, una misericordia gonfia di spine, proclamandosi migliori dell'uomo che ora è nella polvere. Pina Picierno del Pd è sulla stessa linea: «La risposta naturale sarebbe ricambiare con la stessa moneta, con l'ironia e le calunnie». Tradotto in italiano: «Tu sei un essere spregevole, noi abbiamo altri parametri, quindi non aggiungeremo altro, ma intanto ti marchiamo».
Piovono i sassi, a nemmeno una settimana dalle amministrative, ma la mano è inguantata e tutti, ma proprio tutti, ricordano a Morisi che loro hanno un altro metro di giudizio ma intanto misurano con quello solito. Certo, in questo Paese si è visto ben altro. È trent'anni che avvisi di garanzia e manette vengono consegnati davanti ai riflettori e vengono usati per stroncare carriere, anche se spesso e volentieri sono seguiti, con grande calma, da proscioglimenti e assoluzioni.
Il garantismo, specialmente sul lato sinistro dell'emiciclo, va e viene, funziona ma anche no, come una scenografia che si può mettere o togliere a seconda di chi sale sul palco.
Un pezzo della sinistra à la page ha difeso Clinton per l'imbarazzante vicenda di Monica Lewinsky, ma naturalmente ha dato addosso al Cavaliere quando le Olgettine sono diventate star. E anche l'assoluzione di Berlusconi conta poco, perché nel nostro Paese c'è sempre un ulteriore processo, un'ulteriore coda, il Ruby ter e poi magari il Ruby quater.
Il tutto fra continue interferenze e incursioni nelle campagne elettorali e con un travaso continuo di contenuti fra aule di giustizia e seggi elettorali. Bisognerebbe cambiare le leggi: meno fughe di notizie in cambio di processi certi e rapidi. Non abbiamo né le une né gli altri.
Il rispetto non può essere come un semaforo, prima verde e poi rosso. Sulla trattativa Stato-mafia si è costruito un genere letterario, si sono rovinate reputazioni, ora che emerge un'altra lettura si cerca di farla combaciare con i vecchi teoremi: hanno assolto i generali, ma i fatti c'erano e se la sono cavata solo perché è stato privilegiato l'elemento psicologico. E così li si mette ancora alla berlina, senza capire che sulla frontiera del crimine si muovevano magari male, ma come potevano per salvare il salvabile.
Con Morisi sono tutti magnanimi, guardandolo dall'alto in basso. Pure Nicola Fratoianni ostenta quella comprensione e quell'umanità che sono mancate in questi anni alla Bestia.
Buonismo e disprezzo: dev'essere l'ultima variante del giustizialismo tricolore.
E non si tratta di assolvere la macchina salviniana che negli anni scorsi è stata davvero, almeno a tratti, feroce, cinica e naturalmente invidiata, esattamente come quella messa a punto da Rocco Casalino. Però, davvero, dopo tanti, troppi fragorosi flop, dovrebbe essere arrivato il momento di voltare pagina. E separare le indagini, ancora di più quelle personali, dalla vita del Palazzo.
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