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I sacerdoti della tripla morale

Nessuno vuole mettere una croce sulle spalle di Massimo D'Alema per le indagini che lo coinvolgono sull'"affaire" della vendita di armi alla Colombia in cui si configurerebbe il reato di corruzione internazionale

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Nessuno vuole mettere una croce sulle spalle di Massimo D'Alema per le indagini che lo coinvolgono sull'«affaire» della vendita di armi alla Colombia in cui si configurerebbe il reato di corruzione internazionale. Vedremo gli sviluppi giudiziari del caso. Su un dato, invece, vale la pena riflettere fin d'ora: la «questione morale» che ormai periodicamente investe la sinistra in tutte le sottospecie che oggi la rappresentano. Comprese quelle più radicali.

È un fenomeno che colpisce l'immaginario di un Paese che ha visto i post-comunisti arrivare al potere proprio sull'onda degli scandali di Tangentopoli che spazzarono via i partiti di governo di allora, dalla Dc al Psi. Furono risparmiati per grazia ricevuta da un pezzo di magistratura a loro collaterale (le cosidette toghe rosse): nel 1989 beneficiarono di un'amnistia che mise una pietra tombale sui finanziamenti che il Pci aveva ricevuto da Mosca; poi furono lambiti da diverse inchieste ma sempre tenuti al riparo dalla magistratura amica: Bettino Craxi moriva in esilio ad Hammamet mentre loro facevano la morale a Roma. Nei trent'anni successivi sono stati tirati in ballo in innumerevoli scandali (da Telekom Serbia alle vicende che hanno portato quasi al fallimento della più antica banca d'Italia, Mps) ma ne sono sempre usciti seppure con qualche graffio. E imperterriti hanno continuato ad agitare la «questione morale» come un'arma contro gli avversari anche di fronte al moltiplicarsi delle indagini che li tiravano in ballo, visto che la loro capacità di condizionare procure e tribunali si stava via via riducendo.

Insomma, hanno continuato ad esercitare una sorta di «doppia morale»: predicare bene e razzolare male. In un meccanismo perverso che ha visto tramontare l'ideologia, diminuire la politica e aumentare la propensione per gli affari. Anzi, molti dirigenti sono diventati anelli di congiunzione tra «il mondo degli affari» e «il mondo della politica» grazie alle relazioni che avevano costruito nelle istituzioni. La politica che si trasforma in sinonimo di lobbismo. Il che non è di per sè un reato (se si rispettano le regole) ma sicuramente è una metamorfosi che stride se chi ne è protagonista ha crocifisso per decenni gli avversari sulla «questione morale». Specie se gli affari avvengono in settori che cozzano con i totem ideologici della sinistra: così si passa dalla «doppia morale» alla «tripla».

Essere accusati, ad esempio, di svolgere un'azione di lobbismo in favore del Qatar che deve coprire i morti sul lavoro nei lavori di realizzazione degli impianti per i mondiali di calcio, non è certo un'attività proba per chi è cresciuto nel mondo del sindacato come l'ex-parlamentare del Pd, Antonio Panzeri. Come pure se hai sfilato per decenni dietro le bandiere arcobaleno, parlo di D'Alema, non è certo consono reinventarsi mercante d'armi. Come minimo pecchi d'incoerenza. Come massimo dimostri di non aver mai prestato fede al credo che hai professato.

È l'atroce dubbio dei tanti elettori che ormai issano a mezz'asta, in segno di lutto, i vessilli della sinistra.

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