L'Italia dei capponi

Pochi ne hanno consapevolezza, ma mettendo insieme gli elementi che caratterizzano l'attuale congiuntura economica internazionale ne viene fuori un quadro - se non catastrofico - sicuramente preoccupante

L'Italia dei capponi
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Pochi ne hanno consapevolezza, ma mettendo insieme gli elementi che caratterizzano l'attuale congiuntura economica internazionale ne viene fuori un quadro - se non catastrofico - sicuramente preoccupante. La guerra in Ucraina va avanti con le conseguenze economiche che ben conosciamo. La Cina, per usare le parole del Wall Street Journal, attraversa «un momento Lehman», c'è il rischio quindi che da lì parta un virus finanziario con ripercussioni globali.

E ancora: la locomotiva d'Europa, la Germania, è in recessione da diversi mesi e due giorni fa si è aggiunto un altro Paese che se l'è sempre passata bene, cioè l'Olanda. Poi, certo, la Cgia di Mestre segnala che il nostro Mezzogiorno cresce con il suo 1% più della Francia e della Germania, ma sarebbe da sciocchi non tenere conto che per ora siamo al riparo per le entrate del turismo e i soldi del Pnrr, che prima o poi finiranno. Senza contare che la nostra economia è interconnessa con quella degli altri Paesi europei, specie la Germania, per cui i guai di Berlino prima o poi arriveranno a Roma, se si pensa che nel secondo trimestre di quest'anno i fallimenti nell'area euro sono aumentati dell'8,4%. C'è contezza di tutto questo? Tutt'altro, l'opposizione sembra quasi festeggiare perché mancano i soldi per la manovra o perché aumenta il prezzo della benzina.

In più abbiamo i problemi di sempre. Dalle coste dell'Africa sono arrivati 102mila clandestini. Ma figuratevi quanti sarebbero stati se al governo ci fosse stata quella sinistra che predica l'accoglienza indiscriminata e che ora, protagonista di un cortocircuito mentale, si lamenta perché gli arrivi sono troppi, visto che ha i suoi stessi sindaci in rivolta. Forse sarebbe il caso di prendere tutti atto che, per evitare l'invasione, ci sono solo tre strade: bloccare le partenze in collaborazione con Libia e Tunisia; aumentare i rimpatri per dissuadere da un viaggio inutile e pericoloso; rendere più efficaci e veloci i flussi dell'immigrazione legale. Cioè la strategia che la sinistra non vuole.

Su questi temi, infatti, com'è tradizione, non c'è confronto. Mentre le nubi si addensano, maggioranza e opposizione polemizzano sulle menate. Sul conto che la premier ha pagato in Albania ai nostri connazionali scrocconi: un piccolo gesto, quasi dovuto, per evitare che l'Italia passi al solito come il Paese dei furbi. Oppure sul libro di quel generale, Vannacci, che a 54 anni non si è ancora accorto che siamo il Paese del politicamente corretto e dell'ipocrisia, ma che, fra tante amenità e in un lessico sicuramente sbagliato, qualche verità la dice. Tanto più che da noi, vivaddio, non esiste il reato d'opinione.

L'elenco di simili diatribe è lungo.

Ecco perché maggioranza (meno) e opposizione (più) nei loro atteggiamenti suggeriscono l'immagine manzoniana dei capponi che Renzo porta all'Azzeccagarbugli: i pennuti si beccano l'un l'altro senza sosta per l'intero tragitto, inconsapevoli dell'infausto destino che li accomuna. C'è chi, giustamente, lamenta l'assenza di un sentimento alto e profondo come il patriottismo, ed è purtroppo duro constatare che forse quella parola da noi ha perso di significato.

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