Accettare un passaggio da uno sconosciuto è sempre una pessima idea. Per tre giovani donne americane lo fu accettare un passaggio da un conoscente. Ariel Castro viene chiamato “Il Mostro di Cleveland” in una pellicola che ne ripercorre i terribili crimini: rapì una giovanissima donna e due adolescenti, torturandole, picchiandole, stuprandole e tenendole imprigionate per anni. Fino a che una di loro non riuscì a fuggire e chiamare il 911. Ne seguì un processo in cui lui dichiarò di non essere un mostro, ma i fatti parlarono per lui.
Chi era Ariel Castro
Come riporta Biography, Castro nacque a Portorico nel 1960, ma quando era piccolo si trasferì negli Stati Uniti, a Cleveland, con la madre divorziata e i fratelli. Prese il diploma e si sposò, ebbe 4 figli con la moglie. Ma si macchiò di diversi crimini, in particolare in termini di violenza domestica: picchiò la moglie in diverse occasioni, tra cui una volta in cui la buttò sulle scale fracassandole il cranio. Fu accusato anche di violentare le figlie, che furono affidate alla madre.
La moglie divorziò da Castro, che svolse il mestiere di autista sui bus scolastici. Fu licenziato per negligenza: lasciava i piccoli sull’autobus quando si allontanava e una volta fece un’inversione a U che non si poteva fare, per di più con i bimbi a bordo. Visse in una casa su Seymour Avenue, acquistata nel 1992, ma rimase indietro con le tasse sugli immobili: la casa era dotata di 4 camere da letto e una cantina mai conclusa. All’alba del nuovo Millennio, dietro quelle porte si sarebbe consumato l’orrore.
Il primo rapimento
Il 23 agosto 2002 Castro rapì Michelle Knight, all’epoca 21enne. La giovane era amica di una delle figlie di Castro e accettò un passaggio per andare in tribunale: aveva un colloquio per farsi ridare il figlio che le avevano tolto.
Castro la attirò invece in casa con una scusa, la incaprettò e la appese al soffitto, lasciandola senza mangiare né bere per 3 giorni. Come spiega il Mirror, il racconto di Michelle fu orribile: “[Castro] mi disse: ‘Non te ne andrai per molto tempo’. Poi iniziò a spogliarsi. Caddi a terra pregandolo di lasciarmi andare. Lo imploravo dicendo: ‘Devo andare da mio figlio’. Strappò la foto di mio figlio - l’unica che avevo - proprio di fronte a me e disse: ‘Non lo vedrai mai’".
Michelle Knight fu picchiata, stuprata, legata con una pesante catena. Fu costretta a fare i propri bisogni nella camera da letto in alcuni secchi che raramente venivano svuotati. Rimase incinta per 5 volte e fu costretta ad abortire venendo messa a digiuno o picchiata selvaggiamente: una volta Castro le tirò addosso all’addome un pesante manubrio per esercizi. Castro le permise di avere un cane, che si affezionò a lei: l’animale attaccò Castro, che gli spezzò il collo davanti a Michelle. Ma lei non perse mai la speranza, sebbene nessuno la cercasse: pensavano che il suo fosse un allontanamento volontario.
Gli altri rapimenti
Il 21 aprile 2003 Castro rapì la 17enne Amanda Berry, mentre tornava a casa dopo il lavoro. Era anche lei un’amica dei figli dell’uomo. Per Amanda, a differenza di Michelle, la famiglia continuò a cercarla, anche se una sensitiva disse alla madre che la giovane era morta, causandole un grandissimo dolore.
Il 2 aprile 2004 Castro rapì anche Gina DeJesus, pure lei amica di una delle figlie, Arlene. La adescò chiedendole proprio di aiutarlo nel cercare Arlene. Ma anche Gina fu portata in casa e tenuta segregata per anni. Amanda e Gina subirono lo stesso trattamento di Michelle. La famiglia di Gina organizzò ricerche e fiaccolate, cui Castro prese addirittura parte.
La gravidanza di Amanda, al contrario di Michelle, fu però portata a termine, e la giovane partorì una bimba di nome Jocelyn. Il parto avvenne in una piscina gonfiabile: Michelle dovette fare da ostetrica sotto le minacce di Castro, e la bimba poco dopo essere venuta alla luce smise di respirare. Michelle la rianimò con la respirazione bocca a bocca.
Jocelyn veniva portata fuori casa, per frequentare la scuola e incontrare la madre di Castro, cui venne presentata come la figlia della propria fidanzata. Gina disse che, nonostante i ripetuti stupri, non rimase mai incinta.
La fuga delle donne sequestrate e la condanna dell’aguzzino
Il 6 maggio 2013, per la prima volta involontariamente, Castro lasciò la porta semiaperta uscendo di casa. Negli anni l’aveva già fatto per mettere alla prova le tre giovani, ma quella volta ci fu qualcosa di diverso. Amanda riuscì a urlare appena fuori dalla zanzariera - che però era rimasta bloccata - e farsi notare dai vicini. Lei e la figlia si rifugiarono dai loro salvatori e chiamarono il 911: “Sono stata rapita e sono scomparsa da 10 anni”, disse, come racconta la Cnn.
Le forze dell’ordine penetrarono nell’abitazione e liberarono Michelle e Gina, la quale spiegò: “Quando dissi il mio nome [ai soccorricori], sembrava avessero visto un fantasma”.
Castro venne catturato e messo a processo: fu condannato all’ergastolo e oltre 1000 anni di galera. Sul suo capo pesava tra l’altro l’accusa di 937 stupri ai danni delle tre rapite, oltre che il rapimento. Inizialmente furono indagati anche due dei suoi fratelli, poi riconosciuti estranei ai fatti.
Come riporta la Cbs, Castro cercò di giustificarsi dicendo di aver subito stupri e maltrattamenti da uno zio quando era bambino. A casa sua venne trovata una nota in cui narrava i dettagli dei rapimenti e donava tutti i suoi averi alle sopravvissute. Secondo l’Fbi, la nota era una lettera di un suicida: Castro meditava di togliersi la vita.
Dopo il processo
Appena dopo un mese di reclusione, Castro si impiccò utilizzando le lenzuola della prigione. Inizialmente si pensò a un’asfissia autocritica, ma poi il coroner smentì l’eventualità. In quel mese in carcere, Castro chiese di vedere Jocelyn, affermando: “Non sono un mostro, sono malato”. Naturalmente la possibilità gli fu negata.
Le tre donne sono libere e conducono le loro vite, in particolare Michelle Knight, che dopo un’operazione per la ricostruzione del volto deturpato dalle botte di Castro, è diventata una scrittrice.
La casa in Seymour Avenue fu demolita, come parte dell’accordo di indennizzo alle sopravvissute. Il giorno della demolizione, Michelle organizzò un grande raduno: distribuì a tutti i presenti dei palloncini gialli. Finalmente l’incubo era finito.
Con un piccolo dettaglio che chiarisce quale e quanta sia la forza di questa donna. Michelle non fu cercata da nessuno in quegli anni, e il figlio che le era stato tolto fu messo in adozione.
Appena fu liberata, fu la prima cosa che chiese: la famiglia adottiva, nell’interesse del ragazzino, negò un incontro. Michelle lo accettò: risparmiare l’orrore al figlio - di cui tuttavia continua a parlare sui suoi canali social - le sembrò la cosa giusta da fare. Forse mamma e figlio si incontreranno, quando lui sarà un adulto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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