Cronache

Sequestro Cirillo: 50 anni di misteri e di veleni

Lo Stato passò dalla fermezza con le Br alla trattativa con la mediazione della camorra

Sequestro Cirillo: 50 anni di misteri e di veleni

La sera del 27 aprile 1981 un quarto d’ora prima delle dieci di sera a Torre del Greco la colonna napoletana delle Brigate Rosse sequestra Ciro Cirillo. Dal 1981 l’esponente democristiano è assessore ai lavori pubblici di Regione Campania. Cinque militanti del partito armato lo prelevano dal garage della sua abitazione torrese, via Cimaglia 125. A guidare il commando c’è il capo della colonna partenopea delle Br, Giovanni Senzani. In quelle fasi concitate muoiono il maresciallo di P.S. Luigi Carbone, di scorta al politico campano, e l’autista Mario Cancello, mentre resta gambizzato Ciro Fiorillo, segretario dell’assessore Cirillo. Poco dopo le 22 il giornalista Luigi Necco compare sugli schermi della RAI per un’edizione straordinaria del telegiornale in cui dà notizia dell’azione criminale dei terroristi. Da allora inizia una delle vicende più oscure non solo della storia campana e della vicenda post sismica degli anni Ottanta, ma di tutta la vicenda repubblicana italiana.

Cirillo non è un qualsiasi ras democristiano locale. Fedelissimo di Antonio Gava, leader della corrente dorotea della Democrazia cristiana, oltre a guidare l’assessorato ai lavori pubblici è vicepresidente del Comitato tecnico per la ricostruzione. Cioè dell’organo attraverso il quale transitano i miliardi della ricostruzione in Irpinia e Basilicata devastate dal terremoto del 23 novembre 1980. E si decidono gli appalti. Un fiume di denaro. Pronti via e la legge 219 del 1981 ne stanzia subito 8.000 (miliardi di vecchie lire) che sarebbero diventati oltre 50.000 negli anni seguenti: ricostruzione di case, installazione di aree industriali e riqualificazione del territorio. Buone intenzioni che troppo spesso sarebbero rimaste sulla carta a lastricare la via per un inferno di sprechi e ladrocini. Ma torniamo al sequestro Cirillo. I brigatisti di Giovanni Senzani fuggono da Torre del Greco e portano l’ostaggio in un appartamento di Cercola, nel centralissimo corso Riccardi, a meno di dieci chilometri di distanza. Quella sarà la “prigione del popolo” di Cirillo per i successivi 89 giorni: molto simile a quella di Aldo Moro e degli altri ostaggi delle Br, con lettino e gabinetto chimico. Secondo quanto ricostruito dal giudice Carlo Alemi all’indomani del sequestro, il 28 aprile 1981, i servizi segreti si mobilitano per liberare l’assessore dalle mani dei brigatisti rossi. Si arriva a un primo incontro presso il super carcere di Ascoli Piceno (ma altri ne seguiranno). Come ricostruito dall’autorità giudiziaria partecipano due funzionari del SISDE, appunto, il boss della Nuova camorra organizzata Raffaele Cutolo, lì detenuto e l’ex segretario di Cirillo: è presente anche il luogotenente di Cutolo, Enzo Casillo. Da quel momento, su precisa richiesta di soggetti appartenenti ad apparti di sicurezza della Repubblica Italiana, Cutolo entra da protagonista nella vicenda Cirillo. Il boss di Ottaviano chiede e ottiene però che nella trattativa vi siano due suoi fedelissimi: Corrado Iacolare ed Enzo Casillo. Quest’ultimo, latitante, viene addirittura fornito di un tesserino di copertura dei servizi segreti (misteriosamente salterà in aria nella sua auto il 29 gennaio 1983 a Roma a poca distanza dalla sede del SISMI, i servizi segreti militari). Le Brigate Rosse tra il 30 aprile e il 7 maggio del 1981 diffondono tre comunicati. Cirillo, sottoposto a “processo popolare” con tanto di riprese video, viene accusato, tra l’altro, della “deportazione dei proletari terremotati”. Il 12 maggio le BR, con il comunicato numero 5, diffondono un messaggio del sequestrato. Cirillo dice: “Terremotati, sono Ciro Cirillo, sono rinchiuso nella prigione del popolo come prigioniero di guerra delle BR. Sto pagando 30 anni di attività antiproletaria. Ho capito che la ricostruzione non può essere basata sulla deportazione”. Pochi giorni dopo il capogruppo Dc al consiglio comunale di Napoli chiede la requisizione di 900 case sfitte da assegnare ai terremotati. Il 7 giugno, dopo giorni di silenzio, a casa Cirillo arriva una lettera scritta dallo stesso ostaggio e indirizzata ai figli Franco e Bernardo. Le Br chiedono la pubblicazione integrale dell’interrogatorio cui hanno sottoposto Cirillo. Pochi giorni dopo il quotidiano “Lotta Continua” pubblica i verbali con il titolo: “Quattro pagine che avremmo preferito non pubblicare”. Cirillo ha raccontato 30 anni di potere e di Democrazia cristiana a Napoli, elencando nomi, correnti e strategie politiche. Il 9 luglio 1981 arriva il comunicato numero 11 con la tristemente nota stella a cinque punte che contiene un lugubre messaggio: “Il processo a Ciro Cirillo è terminato e la condanna a morte di questo boia è la giusta sentenza in questa società divisa in classi ed è nello stesso tempo il più alto atto di umanità che le forze rivoluzionarie possono compiere”. E c’è anche una telefonata (della quale esiste l’audio) del brigatista Antonio Chiocci che annuncia la macabra sentenza: “Il processo a Ciro Cirillo è terminato e la condanna a morte di questo boia è la giusta sentenza in questa società divisa in classi”. Intanto alla famiglia arriva una richiesta di riscatto: 5 miliardi. Ma alla fine i terroristi si “accontenteranno” di 1 miliardo e 450 milioni di lire, consegnati il 21 luglio 1981 da un intermediario della famiglia Cirillo a un brigatista a Roma, sul tram che collega la stazione di termini a Centocelle. Il 24 luglio 1981 l’assessore Ciro Cirillo viene rilasciato in un palazzo abbandonato di via Stadera a Napoli, in zona Poggioreale. Una pattuglia della polizia stradale lo intercetta in via Traccia, lì vicino, e lo carica a bordo, diretta verso la Questura di Napoli dove i magistrati vogliono interrogare Cirillo. Come ricorda il magistrato Libero Mancuso, la pattuglia non ha ancora percorso duecento metri, quando altre 3 volanti la bloccano. Da una di esse scende il vicequestore Biagio Giliberti, che intima ai poliziotti di consegnargli Cirillo. Che viene accompagnato a casa sua, a Torre del Greco, dove i magistrati per 48 ore non potranno avvicinarlo, contrariamente ad Antonio Gava e a Flaminio Piccoli, all’epoca segretario politico della Dc, che invece fanno visita a Ciro Cirillo.

Nel novembre 1981 Cirillo lasciò la poltrona di assessore regionale e il 16 aprile 1982 si dimise anche da consigliere regionale. Fu la fine della sua carriera politica. Morirà il 30 luglio 2017, a 96 anni, senza mai aver chiarito fino in fondo le circostanze della sua liberazione. Un caso che è un insieme di buchi neri. In primis chi fu determinante per la liberazione di Cirillo? In quel momento è certo che Raffaele Cutolo fosse titolare di un potere criminale pervasivo e capillare in tutta l’area metropolitana di Napoli, ma soprattutto nell’area vesuviana, cioè dove si è svolta l’intera vicenda del sequestro Cirillo. Oltre 2.000 affiliati e centinaia di fiancheggiatori consentivano un controllo pressochè totale di Ottaviano e dei comuni limitrofi come Cercola, Somma Vesuviana, San Gennaro Vesuviano, San Giuseppe Vesuviano, Boscotrecase, il comprensorio nolano. Poi il ruolo dei servizi segreti: che agirono nella trattativa per liberare Cirillo proprio in concomitanza con l’esplosione della guerra di camorra che vide fronteggiarsi la Nco di Raffaele Cutolo e la Nuova famiglia di Carmine Alfieri, Pasquale Galasso, Lorenzo Nuvoletta, Salvatore Zaza. Faida che, assieme ai processi, segnò la fine del potere criminale cutoliano. E ancora: la colonna napoletana delle Brigate Rosse prima annunciò la condanna a morte di Cirillo, poi non eseguì la sentenza e chiese un riscatto. Una strategia piuttosto inconsueta per i terroristi. Inoltre non è chiaro dove siano finiti i miliardi del riscatto non arrivati alle Br (chi parla di 5 miliardi, chi di 3 miliardi). Infine l’ultimo grande buco nero: il denaro pubblico speso per la ricostruzione soprattutto in Campania. L'ultima finanziaria che ha previsto fondi per la ricostruzione nelle zone colpite dal sisma del 1980 è quella del 1988 e metteva risorse per 29.450 miliardi di lire, cui si dovevano aggiungere 13.500 miliardi per Napoli, per una spesa totale di 42.950 miliardi. Di questi, alla provincia di Avellino erano destinati 6.400 miliardi. Complessivamente, la spesa dello Stato per la ricostruzione è arrivata a 57.000 miliardi di lire (quasi 30 miliardi di euro oggi). Il fatto che la Campania tra il 2000 e il 2020 abbia perso 806mila abitanti emigrati altrove per lavoro è una significativa cartina di tornasole dell’esito della ricostruzione. Che fu, oltre al commercio di droga, il trampolino di lancio per un’escalation della criminalità organizzata. Che proprio con il sequestro Cirillo fu legittimata dallo Stato come interlocutore “alla pari”. Alimentando come un veleno la sfiducia e l’estraneità che soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia molti cittadini avvertono nei confronti dello Stato stesso e delle sue Istituzioni. Veleno che continua a circolare in tutta la sua mefitica potenza anche 50 anni dopo quei giorni oscuri. Resta la scena di un interessante film di Giuseppe Tornatore, “Il camorrista” del 1986, liberamente tratto dal libro sulla vita segreta di Raffaele Cutolo di Giuseppe Marrazzo del 1984. In questa scena il boss della camorra Ben Gazzara, detenuto in carcere, stringe la mano in segno di saluto a un potente politico di un grande partito di governo e gli domanda: “Senatore, spiegatemi una cosa. Perché cercate di salvare in tutti i modi la vita di questo semplice assessore, quando appena ieri si è lasciato assassinare il presidente del vostro partito?”. Risposta del politico: “Voi siete un uomo di potere e queste cose le potete capire da solo”. Il 9 maggio 1978, 3 anni prima del sequestro Cirillo, le Brigate Rosse avevano ucciso il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. All’epoca aveva vinto la linea della fermezza, cioè la decisione di non trattare assolutamente con i terroristi per non legittimare altri poteri al di fuori di quello dello Stato.

Appunto.

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