Politica

Draghi si sporca le mani

Finalmente il premier scopre le carte: "consultazioni" per salire al Colle. Ma SuperMario non convince i partiti. E rispunta l'ipotesi Mattarella bis

Draghi si sporca le mani

Non avrebbe mai voluto farlo e ha provato a resistere fino all'ultimo minuto utile. Poi, a poche ore dalla prima votazione, Mario Draghi è stato costretto a scendere in campo. E a mettere la sua faccia e il suo corpo su quella che è la seconda corsa al Quirinale di un presidente del Consiglio in carica (il precedente, poco fortunato è quello di Giulio Andreotti nel 1992). L'ex numero uno della Bce, dunque, si è convinto a sporcarsi le mani con quella politica che non ha mai fatto mistero di mal sopportare. Un deciso cambio di approccio, un metodo diverso da quello che negli ultimi mesi ha portato a un vero e proprio muro contro muro tra la legittima ambizione quirinalizia di Draghi e i dubbi dei partiti, sempre più timorosi che una promozione dell'ex banchiere al Colle possa significare il definitivo commissariamento della politica. Draghi ha fiutato l'aria, ha colto i segnali di chi iniziava a guardare con un certo interesse a ipotesi alternative come quella di Pier Ferdinando Casini, e ha deciso per l'all in. Dando il via a quelle che sono delle «consultazioni» di fatto. Ha incontrato Matteo Salvini in mattinata, poi ha sentito Enrico Letta, Giuseppe Conte e - pare - Matteo Renzi. Si è vociferato di un colloquio con Silvio Berlusconi, che dall'entourage del leader di Forza Italia smentiscono però categoricamente. Insomma, un giro di orizzonte a 360 gradi, per verificare se sono ancora sul tavolo le condizioni per andare al Quirinale. E con un messaggio chiaro, recapitato ad almeno uno dei suoi interlocutori: «Se resterò a Palazzo Chigi, sappiate che sarà alle mie condizioni». Insomma, se Draghi non dovesse riuscire ad arrivare al Colle, dal giorno dopo inizierebbe a dettare un'agenda di governo a prescindere dai desiderata e dalle richieste dei partiti. E alla prima obiezione risponderebbe con un cortese «arrivederci e grazie». La discesa in campo di Draghi ha fatto pensare che la strada per un'intesa sul suo nome fosse ormai in discesa. «Finalmente la trattativa è iniziata, inizio ad essere ottimista», dice infatti Osvaldo Napoli a pochi metri dall'ingresso principale della Camera. Le prime voci, in effetti, raccontano di una trattativa già avanzata, concentrata ormai sulla composizione del nuovo governo. Tanto che, scherza ridendo con un collega Giuseppe Moles nel cortile di Montecitorio, è chiaro che «tra poco non sarò più sottosegretario».

Passano le ore e la situazione pare prendere però un'altra piega. Il colloquio tra Draghi e Salvini, infatti, sarebbe stato assolutamente interlocutorio. Sulla composizione di un eventuale nuovo governo, peraltro, il premier non si sarebbe affatto sbilanciato. E il leader della Lega non dimentica che lo scorso febbraio l'ex Bce ha deciso in autonomia i ministri del Carroccio, ignorando tutte le sue indicazioni. Si fida, insomma, ma - per usare un eufemismo - fino a un certo punto.

I dubbi di Salvini trovano riscontro in quel che raccontano in Transatlantico ai deputati della Lega i due capigruppo, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo. Giancarlo Giorgetti misura invece le parole, si limita a dire che «è importante si siano parlati» e dice che «è meglio prendersi tutto il tempo» per arrivare alla «soluzione migliore». Il grande gelo della Lega, però, arriva a sera. Quando Salvini fa sapere che sta «lavorando» perché «nelle prossime ore» il «centrodestra unito» offra «non una ma diverse proposte di qualità». In un attimo, insomma, le lancette dell'orologio tornano alla prima mattina. Con l'idea di mettere nella rosa del centrodestra anche il nome di Franco Frattini, che - dicono fonti della Lega - potrebbe non dispiacere a Conte e, forse, a Renzi.

A sera, insomma, l'accelerazione di Draghi perde spinta. Verso ora di cena, persino l'Economist - nella sua edizione on line - definisce la candidatura dell'ex Bce al Colle «negativa per l'Italia e per l'Ue». E scrive: il «suo desiderio appena mascherato di lasciare» Palazzo Chigi per il Quirinale «lo mette a rischio». Crescono, insomma, dubbi e ostacoli. Clima che rimbalza subito nei capannelli in Transatlantico, dove c'è già chi torna ad auspicare il Mattarella bis.

«Bisogna vedere se il presidente accetterebbe senza i voti della Meloni, ma credo possa essere sufficiente il via libera di Salvini», confida a un suo collega di partito il dem Emanuele Fiano.

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