Scena del crimine

"Suo figlio era il mostro di Foligno, vi racconto la storia di Marisa"

Marisa Rossi era la madre naturale di Luigi Chiatti, noto come il mostro di Foligno. Fu costretta ad affidare il figlio a un istituto perché non poteva mantenerlo: "Era convinta di poterlo riprendere con sé, ma un giorno le dissero che era stato dato in affido", spiega l'avvocato Riziero Angeletti a ilGIornale.it

"Suo figlio era il mostro di Foligno, vi racconto la storia di Marisa"

"Il mostro di Foligno". Venne ribattezzato così Luigi Chiatti, che nel 1993 confessò di aver ucciso Simone e Lorenzo, due bambini di 4 e 13 anni. Per questi due omicidi, l'uomo venne condannato a 30 anni di carcere. Una storia che, al dolore delle famiglie dei piccoli, aggiunse anche quello di una madre che, dopo aver perso i contatti col figlio per anni, si ritrovò a dover testimoniare in un processo che lo vedeva indagato per omicidio.

Si tratta di Marisa Rossi, la madre naturale di Chiatti, che dovette appoggiarsi a un istituto, perché all'epoca non era in grado di mantenere il figlio. All'età di 6 anni però, Luigi venne dato in adozione e Marisa non ebbe più sue notizie. Fino a quando non scoprì che il figlio era stato accusato di omicidio. Nonostante questo, la donna non si tirò indietro e cercò di incontrarlo di nuovo. "Non ci riuscì mai, la sua fu una vita piena di sofferenza", dice al Giornale.it l'avvocato Riziero Angeletti, il legale che affiancò la donna durante il processo a Chiatti.

Avvocato Angeletti, partiamo dall'inizio. Chi era la madre naturale di Chiatti?

"Era una ragazza molto giovane che, subito dopo l'adolescenza, ha vissuto un periodo difficile. Lei veniva da un paesino in provincia di Rieti e si recò a Roma per lavorare come donna di servizio da una famiglia benestante. Io ho rivissuto quel periodo in maniera molto forte nel racconto della signora Rossi. Per quel che mi disse, subì una violenza da parte del titolare e rimase incinta. Quando successe, venne allontanata dal posto di lavoro e abbandonata dalla propria famiglia, perché questi erano i modi di intendere le cose all'epoca. Così rimase sola".

E cosa fece?

"La situazione che si era creata era grave: chi avrebbe preso a lavorare una donna in stato di gravidanza? Era una donna 'finita'. Riuscì comunque a portare avanti la gravidanza, ma poi non sapeva a chi lasciare il bambino. L'unica possibilità che aveva in quel momento, era quella di ottenere il ricovero in un istituto a Narni. Lo lasciò lì, ma lo andava a trovare in maniera costante, in attesa che riuscisse in qualche modo ad affrancarsi dal punto di vista lavorativo e poterlo riprendere e portarlo con sé".

Quindi avrebbe voluto riprendere il figlio con sé?

"Sì, assolutamente. Andava a trovare il figlio, inizialmente con cadenza settimanale, poi un giorno si presentò in orfanotrofio e non lo trovò. Le venne detto che era stato dato in affidamento, per poi essere adottato da una famiglia. Non aveva avuto nessuna avvisaglia, nessuno le aveva detto che il figlio doveva essere adottato: era convinta di riavere il bambino. Lei aveva questa speranza di potersi affrancare e riprendere il figlio con sé, ma non le fu consentito. Sofferenze su sofferenze. La signora Rossi cercò in tutti i modi di riuscire ad avere notizie del bambino, ma non ci fu nulla da fare. Così perse completamente i contatti col bambino".

Come scoprì che il figlio era accusato di omicidio?

"Venne chiamata da una delle parti per partecipare al processo. Ma mi rivelò che ci fu un momento in cui, nel vedere la foto del ragazzo sui giornali, ebbe qualche sospetto. Mi disse che aveva capito che poteva essere lui. Anche perché i giornali avevano raccontato un po' la vita di Luigi Chiatti e, mettendo insieme i dati e il periodo storico, aveva pensato che potesse trattarsi di lui".

Che ruolo ebbe Marisa Rossi nel processo a Luigi Chiatti?

"Lei fu indicata come testimone da una delle parti del processo, furono loro che riuscirono a rintracciarla. Si rivolse a me per assisterla. Era un'assistenza giuridica, ma essendo una semplice testimone nel processo era più un discorso di assistenza morale e umana. Lei voleva riuscire ad avere un contatto col figlio e chiedemmo un'autorizzazione per poter avere un colloquio con Chiatti. Ma in quel periodo non ci fu concessa. Io accompagnai Marisa Rossi al processo di Perugia dove fu sentita come testimone".

La signora Rossi riuscì mai a rivedere il figlio?

"Mai. Non ci fu più la possibilità. Poi c'era stata questa anticipazione negativa da parte dei giudici, lei era sola e in uno stato di abbandono totale.

Sostanzialmente ci fu uno stop anche da parte sua: disse che se quello era il volere del figlio lo avrebbe rispettato nonostante ne soffrisse molto".

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