Retrogusto

Calamosca, tra il faro e il tramonto
. Chef Ferrara porta una pecora al mare

Lo storico ristorante della famiglia Porcu, in una incantevole baia tra Cagliari e il Poetto, punta in alto con un’idea di cucina che modernizza la tradizione con un occhio alla sostenibilità

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. Chef Ferrara porta una pecora al mare

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Calamosca, tra il faro e il tramonto
. Chef Ferrara porta una pecora al mare

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Cagliari è una delle città più sottovalutate d’Italia, con il destino di essere la capitale di un’isola meravigliosa che ha mille attrattive soprattutto marine e quindi chi arriva qui in aereo o in nave di solito fugge presto per andare in spiagge di un quieto esotismo. E così in pochi si dedicano a questo gioiello ricco di architettura austera che va a braccetto con una natura quasi tropicale.

Un buon modo per vivere Cagliari senza rinunciare ai colori del mare sardo è spingersi verso il Poetto, la lunga spiaggia suburbana, senza dubbio la più bella in una città italiana. Muovendosi dal centro in questa direzione è opportuno fare una sosta a Calamosca, una meravigliosa baia scortata da Capo Sant’Elia a Est e dalla Sella del Diavolo a Ovest, che le fanno da sentinella. Un faro laggiù, verso il tramonto, continua a gettare ostinati fasci di luce di notte, anche se ora le navi non si servono più di esso, preferendo le comodità dei sistemi satellitari. Un angolo incantato, paradossalmente preservato nella sua integrità dalla presenza di diverse strutture militari.

Calamosca

Qui si trova il Ristorante Calamosca, che dal 1952 è punto di ritrovo dei cagliaritani. La sua è una storia avvincente, che si intreccia con quella romanzesca della famiglia Porcu. Una storia di amore per questo luogo, di litigi, di abbandoni e ritorni, di differenti visioni. Oggi il cielo sopra Calamosca sembra finalmente limpido, grazie all’impegno di Matteo Porcu, figlio di Nicola, archeologo e profeta di Calamosca, e dei fratelli Alessandra e Massimiliano, che hanno dato nuovo slancio a un posto che non poteva vivere soltanto della bellezza strozzafiato del panorama.

Non è stato facile cambiare il destino gastronomico di questo locale, che da decenni viveva delle consuetudini di una clientela poca avvezza alle novità. Mora, grazie anche all’arrivo (anzi al ritorno) dello chef Michele Ferrara, un sardo che aveva trovato fortuna al JK Place di Roma. Ferrara sta cercando di alzare progressivamente il livello senza tradire il genius loci, alla ricerca di un equilibrio tra numeri e qualità arduo ma non impossibile. La sua cucina mi ha davvero convinto soprattutto in alcuni episodi, come il coraggioso Crudo e cotto di pecora, bella duplice veste di ripieno di un raviolo al vapore con spuma al fiore sardo e di tartare con brodetto di erbe al miele.

Calamosca

Un piatto sano e sostenibile, che compie il miracolo di rendere delicato ed elegante un ingrediente tradizionalmente ruvido. Giocato su un acrobatico equilibrio tra dolce e salato il Polpo per Silvana, nato da un’espressa richiesta della mamma dei tre fratelli, dispiaciuta che fosse stata tolto dalla carta lo storico polpo con patate. Qui siamo su tecniche e registri differenti ma il mollusco con otto tentacoli è vivo è lotta con noi. Ancora, un Tagliolino all’uovo mantecato col cavolo nero, burro di panna di Arborea, scaglie di tartufo nero di Laconi e una crema di ricotta mustia di pecora piacevolmente affumicata, che però copre un po’ il profumo del pregiato tubero.

Poi un classico del ristorante, il Calamosca 52, un pacchero fresco con calamaro, cozze, arselle, gambero e una spolverata di prezzemolo e di bottarga. Quindi un Trancetto di muggine laccato con una sala teriyaki in una variante sarda con Vermentino e miele, cotto dalla parte della pelle, uno spinacino saltato in padella e una crema di fagioli. Si chiude con una Tenerina alla ricotta con una crema di formaggio e una composta di arance amare. Un percorso piacevole e rassicurante, che conserva i crismi della sardità contemporaneizzando il discorso.

Carta dei vini non sterminata ma solida, con numerose referenze locali (sorprendente il Punta Arbona, un Moscato secco che fa criomacerazione per 72 ore e svolge tutta la malolattica, un vino largo e lungo che esprime al meglio le nuove tendenze enologiche). Il cestino di pane propone cinque varianti ben raccontate da un foglietto. Il ristorante è grande, ci sono circa cento coperti, ma la sala lavora bene, grazie anche alla compostezza del maitre Ernesto.

E per un bicchiere prima o dopo ci sono le Terrazze di Calamosca, un lounge bar affacciato sulla baia.

Calamosca

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