Gioco di spie

Il vero volto di Mata Hari: il ventre della spia

La leggenda dell'enigmatica danzatrice olandese rivelò agli imperi quanto possa essere pericolosa una donna in grado di tessere trame fantasiose e ben giocare gli uomini in guerra

Chi era Mata Hari: il ventre della spia

A un secolo dalla morte di una delle agenti segrete più famose della storia, l’idealizzazione di Mata Hari, all'anagrafe Margaretha Geertruida Zelle poi nota alle cronache come Lady Mac Leod, sembra essere riportata a un'assai meno intrigante verità. Quella che pone ai nostri occhi affascinati una donna avvenente, furba e affabulatrice, ma non abbastanza intelligente da rassegnarsi ai propri limiti. Una cortigiana travolta dagli eventi e assetata di avventura, che senza una reale capacità nel campo dello spionaggio, finì per essere fucilata come spia doppiogiochista. Questo, senza aver servito veramente, con convinzione o merito, nessuna delle due fazioni che richiesero i suoi sinuosi e libertini servigi.

Al termine della Guerra Fredda, gli operativi del Kgb che albergavano a Berlino Est rivelarono paciosi che uno dei metodi più collaudati ed efficaci per acquisire segreti dalla Nato era quello di infilare nei letti di ufficiali e personalità con ruoli chiave "oltre cortina" delle bellissime donne di facili costumi, sapientemente reclutate, alle quali, dopo essersi abbandonati alle più sfrenate passioni, essi avrebbero potuto rivelare informazioni importanti per l'avversario. Non era una tattica nuova, anzi, è la più antica del mondo. E vide tra le più celebri dame coinvolte in questo gioco pericoloso proprio l’esotica danzatrice Mata Hari.

Nei dossier e rapporti redatti dalla Direzione Generale della Polizia Giudiziaria, trasmessi nell'aprile del 1917 al Governo militare di Parigi che avrebbe firmato di lì a pochi mesi l’ordine d’arresto della stessa, ella veniva indicata come ballerina di origine olandese - sebbene lei raccontasse d’essere nata a Giava e avere “sangue indù nelle vene” - ; che prima di raggiungere il successo si era dedicata con disinvoltura alle così dette “galanterie”, ossia alla prostituzione d’alto bordo all’inizio del secolo scorso. Le demi-mondaines, parafrasando Alexandre Dumas figlio, a causa della loro provenienza dal mondo di mezzo e dei loro costumi equivoci, sono sempre state considerata le "spie" prediletta per eccellenza. E Mata Hari era decisamente una demi-mondaine. Destinata a diventare per un talento innato, cortigiana fatale e desiderio proibito di uomini ricchi e potenti.

L'Occhio dell'Alba

Nata in Frisia, nel nord dei Paesi Bassi, e omaggiata dal destino di una bellezza conturbante e non comune fatta di colori che la distinguevano da tutte le altre donne del cantone - un incarnato scuro, occhi scuri e profondi e lunghi capelli neri -, Margaretha era stava svezzata nell'agio, ma si trovò presto a dover fare i conti con l'indigenza dopo il tracollo finanziario della sua famiglia. Una vita complicata, fatta di separazioni, lutti, parenti come tutori e continui spostamenti da una città a un'altra, la portarono a rispondere a un annuncio matrimoniale pubblicato sul giornale - come era costume al tempo - da un ufficiale del Regio Esercito olandese: il capitano Rudolph Mac Leod.

L'uomo si era ritirato per convalescenza dai possedimenti olandesi nelle Indie Orientali. Solo al termine della convalescenza di suo marito la giovane olandese avrebbe scoperto le esotiche terre oltre mare. Dirà di averle viaggiate in lungo e in largo, di essere entrata di nascosto "a rischio della vita", nei templi segreti dell'India dove avrebbe assistito alle esibizioni mistiche di danzatrici sacre davanti ai simulacri di Shiva, Viṣṇu, della dea Kālī; di aver frequentato e amato maharaja e di aver cacciato tigri delle quali portava la rara e preziosa pelliccia indosso negli alberghi di lusso delle maggiori capitali europee. Ma la realtà è che prima della rottura con suo marito, accentuata dalla perdita di un figlio morto avvelenato a pochi anni di vita, Magaretha aveva vissuto come moglie di un ufficiale subalterno in villaggi piccoli e mal collegati dell'Indonesia, a quel tempo dominio coloniale olandese.

Il primo tentativo di rifarsi una vita a Parigi, posando come modella di pittori poco noti, fallisce miseramente. Torna in Olanda dallo zio che l'aveva accolta, me già 1904, fa ritorno nella ville lumiere dove il suo nuovo amante, il barone Henri de Marguérie, la mantiene al Grand Hotel. È in questo periodo che la danza giavanese nella quale è solita esibirsi, fa colpo su monsieur Guimet, industriale e collezionista di oggetti d'arte orientali che ne resta profondamente affascinato. Entusiasta di quelle danze che lei racconta di aver appreso dalle sacerdotesse del dio Shiva, la fa esibire nel museo. E poi la farà esibire nei salotti dei potenti che vogliono essere a-la-page , mostrando questa sinuosa ballerina che mimando un approccio amoroso verso la divinità occulta, finisce per spogliarsi, un velo dopo l'altro, per rimanere in un audace nudità coperta da pochi gioielli appositamente disegnati per lei.

Diviene nota alle cronache come lady Mac Leod, ma la sua fama di "danzatrice venuta dall’Oriente" che dovrà esibirsi dei maggiori teatri d'Europa necessita di un nome più esotico, che richiami davvero le origini ancestrali che la danzatrice millanta di possedere. Giimet decide che il suo nome sarà Mata Hari, che significa "Occhio dell'Alba" in malese. E resterà quello, anche quando lei cercherà di reinventarsi dopo essersi recata in Spagna, narrando di un'infanzia andalusa e di un torero con per un suo rifiuto si era lasciato uccidere da un toro restando immobbile di fronte alla feroce carica.

Il success, ottenuto grazie all'esibizione progrettata da Guimet, e grazie all'interessamento di monsieur Molier, diverrà presto internazionale. Sul Times si riferiscono a lei come "..un'avvenenza che sconfina nell'incredibile, con una figura dal fascino strano e dalle movenze di una belva divina che si conduca in una foresta incantata”. Nel frattempo lei continua a esibirsi nei salotti di finanzieri e aristocratici, cambiando numerosi amanti. Dopo aver frequentato il banchiere parigino Félix Rousseau, si trasferisce per un lasso di tempo a Berlino, dove si lega ad Hans Kiepert, un facoltoso junker prussiano. Ma gli animi revanscisti, che trovano nell'assassinio dell'arciduca una ragione in più per far scoppiare una guerra, vedranno la cortigiana danzatrice che null'altro voleva se non vivere un'eternità scandita dagli agi e dai fasti che fatto la Belle Epoque, travolta da un conflitto che la sorprende in Svizzera.

Mata Hari vuole tornare a Parigi, e dopo una breve tappa in Olanda, finanziata dall'ennesimo petit ami, riesce a farvi ritorno. Ma non prima d'essere stata avvicinata da una vecchia conoscenza: il console tedesco Alfred von Kremer.

Agente H21, al servizio del Kaeiser

Durante un incontro avvenuto all'Aja, il console propone a Mata Hari di diventare una spia al servizio del Kaiser. In cambio le offre un'ingente quantità di denaro, che lei accetta con la stessa disinvoltura di una bambina che sembra entusiasta di partecipare a un nuovo gioco. Quella bambina però, sta per compiere 39 anni.

Dopo aver ricevuto un breve addestramento alle pratiche dello spionaggio presso il Centro di Anversa, gestito dalla nota Fraulein Doktor, Elsbeth Schragmueller, viene inviata in Spagna e poi a Parigi. Il suo identificativo in codice, che inizialmente è H21, viene cambiato in AF44. Il primo incarico sarà quello di trovare il modo di fornire informazioni sull'aeroporto di Contrexeville, situato nei pressi di Vittel in Francia. L'escamotage sarà quello di far visita a uno dei suoi giovani amanti - forse il suo unico vero amore tra le decine di ufficiali ai quali ha concesso le sue grazie - il capitano russo Vadim Masslov. Nel frattempo Mata Hari, alloggerà al Grand Hotel e, come da consuetudine, farà conoscenza con ufficiali dei diversi eserciti alleati dell'Intesa. Ignorando di essere già sorvegliata dallo spionaggio inglese e dal controspionaggio francese. Che già sospettavano di lei in quanto demi-mondaine che si era sempre professata amica dei potenti di mezza Europa. E ora che tutta l'Europa era in guerra, il rischio o il vantaggio di rivelare un segreto giusto o sbagliato a l'una o l'altra fazione era dietro l'angolo. Con se portava due boccette di inchiostro simpatico fornitegli dai servizi segreti tedeschi: nessuna arma al di fuori della sua fama di seduttrice mangiauomini.

Ingenua, tradita e colpevole

Benché estremamente furba, intraprendente, poliglotta, e affascinante, Mata Hari non si rivela essere una spia all’altezza delle aspettative. Non ha la stoffa, la perspicacia, e l'arguzia di un agente segreto. È solo una donna fragile , quasi apolide, che ama la bella vita più della vita stessa, e che pur di continuare a godere dei piaceri che essa può darle, finisce col promettere a un politico straniero di fornirgli le informazioni che desidera, sfruttando le confidenze dei suoi amanti. La stessa cosa che promette - sempre in cambio di denaro, non certo per amor di patria - agli ufficiali del Deuxième Bureau, il servizio segreto militare francese.

Le informazioni che fornisce al console von Kalle e al colonnello Joseph Denvignes si rivelano ininfluenti, e soprattutto ben distanti dalle generose somme di denaro che la danzatrice chiede in cambio del suo pericoloso gioco. Quando il console tedesco capisce che Mata Hari è una doppiogiochista, forse su ordine del centro informativo tedesco di Colonia, decide di bruciare la sua copertura inviando un messaggio cifrato ma adoperando un codice vecchio, che sa essere stato decifrato dai servizi segreti francesi. Nel messaggio ne rivela l'identità. E questo viene prontamente intercettato dalla centrale del controspionaggio sistemata sulla Tour Eiffel per captare le frequenze su onde lunghe, dove nel 1917 transitano anche i messaggi cifrati.

Per essersi resa colpevole dei crimini di "espionnage, tentative, complicité, intelligences avec l'ennemi", Mata Hari, già da tempo sorvegliata a vista, viene arrestata dalla polizia francese nella sua camera d'albergo, la 131 del Palace Hotel, al numero 103 degli Champs Elisées, il 12 febbraio del 1917.

Benché le prove non siano abbastanza consistenti, e non sia trovato alcun documento o messaggio scritto con l'inchiostro simpatico che lei non sapeva usare, confesserà di essere stata reclutata anche dai tedeschi come spia. Forse non immaginando nemmeno che, dopo numerosi fallimenti nella campagna militare condotta dall'esercito francese e con un governo in difficoltà di fronte a un popolo affamato e stremato, il crimine di spionaggio l'avrebbe vista senza dubbio come condannata a morte. L'esecuzione di una spia come lei, inoltre, avrebbe senza dubbio riscosso il piacere della vendetta che sovente viene invocato dalla vorace opinione pubblica. Negatale la grazia, Mata Hari, al secolo scorso Margaretha Geertruida Zelle, sconterà parte della sua prigionia nel carcere di Saint-Lazare, prima di essere condannata a morte per fucilazione il 15 ottobre del 1917.

Per comparire di fronte al plotone d'esecuzione schierato presso il campo di tiro di Vincennes, Margaretha sceglie un abito grigio perla. Rifiuterà la benda, per guardare la morte in faccia. Coraggiosamente. Degli 11 colpi sparati all'ordine del fuoco, solo tre la colpiscono. Uno dritto al cuore. Il suo corpo, rimasto irreclamato, viene sepolto in una fossa comune. Delle tre lettere scritte prima della condanna, una indirizzata alla figlia Jeanne Louise, una al suo unico amore, il capitano Masslov, che l'aveva archiviata pubblicamente come "una semplice avventura", l'ultima all'ambasciatore d'Olanda, Cambon, nessuna verrà recapitata. Chi leggerà quegli addii, come le altre memorie custodite nei dossier che sono rimasti secretati fino al 2017, descriverà una donna ingenua e tradita, che forse si era lasciata trascinare in un gioco molto più grande di lei. Ma Mata Hari in fondo era solo un'attraente e misteriosa ballerina di una danza fantasiosa, che temeva di perdere il suo fascino come tante dive quando invecchiano. Una donna con un passato difficile, alla ricerca della sofisticatezza che appartiene alle regine. Che adorava inventare storie appassionanti solo per rendersi ancora più desiderabile agli occhi di chiunque l'avesse accompagnata fino alla nuova alba. Forse un complesso diffuso dell'esistenza.

Di certo nel suo caso, un lasciapassare per restare nella storia.

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