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"Mia madre mi picchiava e diceva: 'È per il tuo bene'". La dolorosa autobiografia di Ema Stokholma

Vincitrice del premio Bancarella 2021 con il libro "Per il mio bene" (HarperCollins Italia), Ema Stokholma ci ha spiegato i motivi che l'hanno spinta a raccontare la dolorosa storia della sua infanzia

"Mia madre mi picchiava e diceva: 'È per il tuo bene'". La dolorosa autobiografia di Ema Stokholma

Con il suo libro Per il mio bene (HarperCollins Italia), Ema Stokholma ha vinto il Premio Bancarella 2021. Un riconoscimento meritato per quella che è la storia della sua dolorosa infanzia. Un racconto che è un pugno nello stomaco leggendo tutto quello che ha subito da una madre disturbata. Un pugno, come i tanti che sia lei che suo fratello Gwendal, hanno ricevuto durante la loro crescita. “Per il mio bene me lo diceva mia madre quando ero bambina e mi spiegava perché mi stava picchiando. Per il mio bene sono scappata di casa, quando avevo quindici anni”. Così Ema ha saputo descrivere pagina dopo pagina un dolore indicibile fatto non soltanto di botte, ma anche di umiliazioni corporali, raccontate a volte con punte di amara ironia.

Un libro intriso di profonde ferite incise dal “mostro” - come viene definita sua madre - ma anche tratteggiato da una forza d’animo impressionante e da un desiderio di rivincita e di vita, che Ema racconta con estrema lucidità. Quella che nessuno si aspetterebbe da una bambina di appena quattro anni. Una storia che stride con l’idea del suo personaggio televisivo e radiofonico, dj, pittrice e performer, ma che conferma ulteriormente la sua forza che l’ha portata a costruirsi una vita diversa. Di questo e molto altro abbiamo parlato con lei, felicissima del prestigioso riconoscimento ricevuto per il libro, che dice: “È una testimonianza scritta ‘per il bene’ di tanti altri bambini, nella speranza che nessuno viva quello che è successo a me e mio fratello”.

Come ha fatto per tanti anni a tenersi tutto dentro?

“Mi vergognavo a raccontare le violenze subite e, visto che non avevo ricevuto aiuto da piccola, credevo inconsciamente che la mia storia non potesse interessare a nessuno”.

Quale è stato il motore che le ha fatto decidere di raccontare questa storia?

“L’ho deciso dopo aver letto sui social le reazioni degli utenti alla storia di Giuseppe, un bambino di 7 anni morto a Cardito per le troppe botte. Le persone non capivano come fosse potuto accadere. Ho pensato che fosse giusto spiegare cosa succede in alcune case, per permettere alla gente di intervenire”.

Scrivere questo libro l'ha aiutata o è stato doloroso tirare nuovamente fuori tutto?

“Ormai ho fatto i conti con il mio passato, i ricordi non mi fanno più male, ho affrontato tutto questo in analisi. La terza parte del libro, quella più recente che riguarda il funerale di mia madre, è stata la più difficile. Quando poi il libro è stato letto, mi sono sentita capita e amata”.

È stata capace di raccontare un orrore così forte, con punte di amara ironia. È stata questa ad aiutarla nella vita?

“È un grande complimento per me. Credo che ci voglia sempre un po’ di umorismo nella vita, una punta di cinismo e tanta, tantissima autoironia. Mi aiuta a relativizzare, a trasformare il dolore in sorrisi, e così sento di non essere compatita”.

Nonostante abbia più volte sottolineato nel libro il desiderio di morte, quello che sperava nei confronti di sua madre piuttosto che per se stessa, in realtà viene fuori un attaccamento pazzesco alla vita. Un forte desiderio di rinascita, ma soprattutto una forza che al contrario di quello che spesso succede, lei ha ricercato più in sé che negli altri...

“Da bambina mi sentivo sola. Scappavo di casa e la polizia mi riportava indietro senza domandarsi perché lo facessi. Le persone che subiscono violenze hanno spesso paura di parlarne, perché credono che sarebbe ancora più pericoloso se dovessero poi tornare a casa. Anche se mi sono sempre piaciute le persone, non mi fidavo di nessuno”.

Scrive che le cose belle sono più forti del dolore: è davvero così?

“Dal momento in cui ho deciso di essere felice, di affrontare le mie insicurezze, di scegliere per me ho iniziato a godere delle cose belle. Anche prima c'erano, ma non le vedevo perché continuavo a soffrire, ero sempre troppo critica”.

Si sente ancora sola?

“Oggi mi sento molto più amata, ma non nascondo che a volte il pensiero di essere sola ancora mi sfiora. È una cosa con la quale convivo bene, di solito ne approffitto per dipingere”.

Ha mai avuto paura di essere come sua madre?

“È il motivo per il quale sono andata in analisi la prima volta. Credevo di conoscere solo la violenza come forma d'amore da dare. Invece era solo una convinzione sbagliata, e mi sono tolta presto questo pensiero”.

Ha molti tatuaggi, solitamente chi li fa vuole ricordare o dimenticare. Lei per quale motivo li ha fatti?

“Un po’ per appropriarmi del mio corpo, sentivo di poter decidere per me, mi facevano sentire bene. Ora però non mi piacciono più, non ho più bisogno di rivendicare le stesse esigenze di prima. Uno lo sto anche finendo di cancellare”.

Dopo tutto quello che ha passato nella vita, c’è qualcosa che ancora la spaventa?

“Mi spaventano le ingiustizie e le falene”.

Scrive: “Avevo tutto per essere felice ma non lo ero”. Che cosa è ora per lei la felicità?

“La libertà e la mia indipendenza. Ridere a crepapelle e vivere nel presente”.

È scappata di casa solo con le scarpe ai piedi, ha vissuto con tutta la sua vita dentro uno zaino, cosa ha provato il momento in cui è riuscita a comprarsi una casa?

“Lo ammetto, nonostante i molti sacrifici per poter accendere il mutuo, una sera in cucina guardando verso il salone di casa, mi sono data da sola una pacca sulla spalla. Che ridere”.

Racconta di aver avuto molti amori, cosa cercava negli uomini? Come è ora il rapporto con loro?

“Cercavo di colmare un vuoto affettivo enorme, dovuto alla ricerca dell’amore da parte di mio padre, cercavo di soffrire perché credevo che fosse quello l'amore. Ora va meglio anche se mi metto poco in gioco, ho ancora delle insicurezze da risolvere in quel campo”.

Le piacerebbe diventare madre? Ci pensa a questa possibilità?

“Non ho mai sentito il bisogno di essere madre, credo sia normale nel mio caso. Però non credevo neanche che un giorno avrei cantato eppure…”.

Nel libro riporta una lettera molto forte che ha scritto a sua madre ma che non ha mai spedito. Perché? Se la scrivesse ora, cosa cambierebbe in quella lettera?

“Non l'ho spedita perché all’epoca non avevo i soldi neanche per un francobollo, ma è stato meglio cosi. Oggi sarebbe completamente diversa. Mia madre l'ho capita e non cercherei di ferirla ulteriormente”.

È diventata una pittrice, il suo Instagram è quasi una galleria d’arte dove alterna foto a riproduzioni delle stesse dipinte. Se lasciasse andare la sua immaginazione, cosa dipingerebbe?

“Se potessi dipingerei i sogni ricorrenti che facevo da piccola, si ispirerebbero molto ai quadri del surrealista Yves Tanguy. Ora come ora non sono capace di disegnare cose che esistono solo nella mia mente”.

Le ferite, che ha magistralmente curato con una forza incredibile, cosa le hanno lasciato?

“Non so affrontare i litigi e ho paura di essere deludente per le persone con le quali lavoro”.

È indubbio che lei sia bella, quello che vorrei capire è se riesce davvero a vedersi così?

“Diciamo che non mi capita spesso di pensare di essere bella, né ai miei occhi né a quelli degli altri. Però ho imparato a dire ‘grazie’ invece di ‘non è vero’”.

Ha imparato a convivere con quella bambina maltrattata?

“Ho imparato a vedere il bene invece che il male, anche dietro i comportamenti contorti di una mente malata come quella di mia madre. Sto imparando a prendermi cura di me”.

Quanto il lavoro l’ha aiutata e cosa vorrebbe ancora esplorare?

“Mi ha spronata ad andare oltre i miei limiti, oltre le mie vergogne, le mie paure. Ho capito di avere un valore, e non è poco".

Dopo il successo di Per il mio bene, ha in mente di scrivere altro?

“Sì, anche se non è semplice in confronto al primo, ma ci sto già provando”.

Per il mio bene di Ema Stokholma

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