Il Lehman Moment è il cigno nero per eccellenza. Dalla bancarotta del 2008 della più piccola fra le merchant bank Usa, indica il fenomeno in base al quale i guai di uno diventano i guai di tutti. È come il sasso gettato nello stagno che crea cerchi che, dal punto di caduta, si irradiano verso l'esterno. È l'evento più temuto dalla Federal Reserve, che dalla crisi dei mutui subprime porta con sé lo stigma di aver sottovalutato il rischio sistemico che incombeva sul sistema finanziario a stelle e strisce.
Per quanto da allora i ratio patrimoniali delle banche siano stati rafforzati, l'anticamera del fallimento in cui si trova Silicon Valley Bank (Svb) dopo la nomina di un curatore, indica che una completa blindatura non è mai garantita. Anche un sottomarino può affondare, e falle nel sistema possono sempre aprirsi. Magari proprio a causa della furia iconoclasta con cui la banca centrale americana ha rottamato l'era del denaro facile, quella contrassegnata dall'acronimo Zirp (Zero interest rate policy), per scagliarsi a testa bassa contro il muro dell'inflazione. Con un rapporto di causa ed effetto inconfutabile: se gli otto rialzi dei tassi decisi a partire dal marzo dell'anno scorso non hanno ancora debilitato l'economia reale, di sicuro hanno scavato qualche voragine nei bilanci di qualche banca sotto forma di minusvalenze sui bond Usa e di insolvenze sui prestiti per la casa.
Alcuni analisti sostengono che il miglioramento dei margini di interesse legato a tassi più alti sta compensando le perdite sugli investimenti a lungo termine, ma non si può escludere che la banca di Palo Alto sia il classico canarino nella miniera. E che i suoi quasi due miliardi di dollari di perdite dalla vendita di securities per circa 21 miliardi (perdite legate a rendimenti medi sui T-bond attorno all'1,8% contro il 4% dei treasuries decennali) siano la spia di un malessere collettivo più o meno profondo che Eccles Building non può ignorare.
Così, la retorica da falco a tutto tondo di Jerome Powell, quell'ancor fresco sottolineare come la stretta al costo del denaro sarà più dura del previsto, potrebbe finire sul binario morto. E far perdere peso ai dati arrivati ieri dal mercato del lavoro Usa, con 311mila nuovi posti di lavoro creati in febbraio, ben oltre il consenso di 200mila, ma con un tasso di disoccupazione salito al 3,6% dal 3,4% del mese precedente e con salari meno surriscaldati (+4,6% su base annua sul 4,8% atteso). Ora che i mercati vendono tutto ciò che è associato al rischio, alzare dello 0,50% i tassi in occasione della riunione del 21-22 marzo del Fomc (braccio operativo di politica monetaria) equivarrebbe a un'esibizione muscolare insensata. Gli eventi legati a Svb evidenziano alcuni dei rischi aggiuntivi di stress finanziario, ha affermato Sarah Hewin, economista senior presso la Standard Chartered Bank di Londra. Non a caso, da ieri il 56% dei trader si aspetta un aumento di 25 punti base, mentre all'inizio della settimana oltre il 75% scommetteva su una stretta di mezzo punto. Non solo.
Le aspettative sul pivot, il punto raggiunto il quale il costo del denaro smette di salire, sono crollate nelle ultime 24 ore di 25 punti, al 5,3%, e le chance di un taglio dei tassi, di 0,25%, nella seconda metà del 2023 sono ora del 50%. È un cambio di scenario radicale e inquietante al tempo stesso. Perché segnala la convinzione che la Fed sarà costretta, suo malgrado, a cambiare spartito per evitare guai maggiori.
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