Economia

Un feeling mai nato e il pasticcio di Dazn

L'ad teneva il primo socio a distanza, ma è poi scivolato sui conti dei 9 mesi

Un feeling mai nato e il pasticcio di Dazn

Luigi Gubitosi, il numero uno del gruppo Telecom, è finito nella bufera in maniera abbastanza clamorosa e irrituale. Il suo attuale mandato di amministratore delegato è stato appena confermato, nell'assemblea del marzo scorso, per tre anni. Ma oggi una parte consistente di quella stessa assemblea punta a farlo fuori dopo solo otto mesi. A volere la sua testa è infatti il primo azionista del gruppo, i francesi di Vivendi, che controllano il 23,5% del capitale di Tim. Ma perché il gruppo transalpino, controllato da un finanziere ben noto e anche discusso come Vincent Bolloré, ha preso così di mira il manager napoletano? La questione parte da lontano, perché l'attuale assetto della governance di Telecom nasce da un compromesso per fare convivere Vivendi e Cdp sotto lo stesso tetto. E Gubitosi non è stato scelto dai francesi. Non solo, ma una volta cooptato nel cda e poi confermato al vertice del gruppo, si è applicato per tenere i soci - e quindi anche Vivendi - a dovuta distanza. «Non gli ha mai fatto toccare palla», dice un ex dirigente del gruppo, usando un'espressione che tutti comprendono. In un contesto come questo è chiaro che il top manager finisca sotto la lente d'ingrandimento, in attesa che compia un passo falso. E, purtroppo per Gubitosi, nel corso dell'anno i numeri del gruppo si sono rivelati peggiori del previsto, creando le condizioni per l'attacco dei francesi. A pesare sui conti sono state in particolare un paio di scelte effettuate dal manager. La prima è stata quella di calcolare l'impatto dei voucher che il governo aveva annunciato per favorire la diffusione digitale. Bonus che si sono rivelati inferiori di quanto sperato, generando mancati ricavi per Tim. La seconda e più clamorosa è stata l'operazione Dazn: la scelta di finanziare la piattaforma streaming con la rilevante cifra di 340 milioni per tre anni, puntando così ad avere il volano del calcio per trovare nuovi clienti sia per il sistema Tim Vision, sia per la banda larga. L'operazione, come lo stesso Gubitosi ha ammesso nella presentazione dei conti del terzo trimestre, si è rivelata poco efficace. Meno di un terzo sono i clienti che hanno aderito rispetto alle stime. A Vivendi la cosa non è andata proprio giù. A maggior ragione perché l'operazione Dazn è stata vista come un'iniziativa personale di Gubitosi, portata avanti anche grazie agli ottimi rapporti con l'ad della Lega Serie A, Luigi De Siervo, ex top manager della Rai quando Gubitosi era il direttore generale di Viale Mazzini. Gubitosi, d'altra parte, rischia di pagare il dazio della propria «constituency», quel terreno di rapporti finanziari e relazioni romane che lo ha condotto negli anni a ottenere incarichi di vertice (da Wind, alla Rai, all'Alitalia), ruoli associativi e di ottima immagine, lasciando però un po' scoperto il lato più strettamente industriale. Non a caso, in Tim il suo maggior merito è avere tagliato il debito, a scapito però di una strategia sui ricavi. Rispetto alla quale il caso Dazn è apparso come un'improvvisazione, rivelatasi per di più infelice. Mentre non mancano, anche in casa del grande socio italiano, la Cdp, alcune perplessità sulle scelte dei ruoli tra i manager interni. L'Opa del fondo Usa Kkr, lanciata sull'intero gruppo, potrebbe essere la carta che ribalta i giochi e rimette Gubitosi in pista. Ma Vivendi lo sa e proverà a cacciare Gubitosi subito prima che egli possa portare avanti il progetto del fondo.

La guerra è iniziata.

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