Economia

Partnership e tecnologie per sviluppare il business

Il brokeraggio ha resistito alla crisi, ma vari intermediari sono stati costretti a chiudere per mancanza di liquidità. Per questo motivo, si rende necessaria l’aggregazione tra più società. E un nuovo approccio all’informatica, anche per interfacciarsi con le compagnie

Aggregazioni tra intermediari, informatizzazione del back office, focus sul settore affinity e sulle personal line, presidio delle nicchie ad alta redditività: sembrano queste le strategie che i broker stanno mettendo in campo per rispondere al persistere della crisi. La concentrazione del mercato assicurativo e l’onerosità delle normative, poi, rendono la situazione ancora più complicata. E allora quali sono oggi le opportunità per il brokeraggio assicurativo? Strutture e prodotti vanno innovati? E che ruolo può avere il web nella consulenza assicurativa?

A queste domande ha cercato di rispondere la tavola rotonda I trend dei modelli distributivi delle società di brokeraggio, organizzata da Marcella Frati, director di Emf group, e coordinata da Angela Maria Scullica, direttore del Giornale delle Assicurazioni, BancaFinanza ed Espansione. Al dibattito hanno partecipato: Giuseppe Allia, responsabile intermediazione di Aec master broker; Marco Araldi, direttore centrale di Marsh; Davide Arculeo, amministratore delegato di MidaBroker; Carla (Titti) De Spirt, responsabile di Win, Willis Italian Network; Gianluca Graziani, direttore commerciale di Mediass; Clive Mendes, direttore di Bridge insurance services; Graziano Pagani, consigliere d’amministrazione di Ibk broker; Flavio Sestilli, consigliere delegato di Aiba; Luciano Tonet, direttore generale di Arena Broker; Uberto Ventura, amministratore delegato di Aon spa; Luigi Viganotti, presidente di Acb Broker.

Domanda. Quali sono le prospettive per il 2014? Ci sono nuovi business per i broker?

VenturaSe parliamo del retail, i nostri numeri mi sono: ricavi per 138 milioni di euro netti nel 2013 con 1.160 dipendenti, ai quali vanno aggiunti i 100 collaboratori e altri 37 milioni di fatturato di Aon Benfield (la società del gruppo che si occupa di riassicurazione). Abbiamo un margine di circa 29,8 milioni, cresciuti di 4 dal 2012. La nostra strategia di distribuzione è nata nel tempo ed è il risultato di una politica di acquisizioni (in dieci anni sono state più di 40). La sfida era la crescita organica, che nel 2013 è stata del 2,1%, circa 3 milioni di euro di ricavi. Insomma, abbiamo saputo unire l’azienda multinazionale alla necessaria presenza locale. Aon ha 25 uffici anche dove uno non immagina di trovarne: a Cuneo, per esempio, con 30 persone, a Pordenone con 23, a Pescara, ad Arezzo. Ci sono distretti importanti che ci hanno suggerito di mantenere le posizioni che avevamo o di andarne ad acquisire, o a potenziare, altre. Esistono, sono nicchie importanti, presidiate da case di brokeraggio, anche piccole, che esprimono un importante valore aggiunto per i loro clienti. Noi siamo interessati ad adottare un modello di business tipico di queste società di nicchia o ad acquisirle, nel caso fossero in vendita.

D. Si tratta della strategia classica di Aon? La crisi vi ha spinto qualche cambiamento o non ha inciso in modo significativo?

Ventura. Nel 2012 abbiamo dovuto ristrutturare l’azienda per interpretare meglio il mercato, che abbiamo segmentato in tre macroaree: clienti private e corporate (88 milioni di ricavi); enti pubblici (26 milioni); affinity, che vale 24 milioni. Ogni segmento ha proprie strategie di distribuzione. Negli enti pubblici, per esempio, non è possibile applicare un’attività commerciale o di redemption come quella che possiamo avere nell’affinity. In realtà ci siamo trovati a gestire tre aziende in un’unica legal identity. E questo ci ha aiutato anche a capire il grado di profittabilità di ciascun cliente. Il mio obiettivo da amministratore è quello di prevenire i problemi, tentando di capirli in anticipo. Per esempio, negli enti pubblici stiamo assistendo a un’erosione dei margini molto importante, perché vanno a gara con il principio del massimo ribasso. Quindi clienti che prima rendevano l’8-9% di mediazioni adesso vengono riassegnati all’1%. È un messaggio per tutto il settore: significa che o riusciranno a sopravvivere pochi broker che sapranno gestire con questi margini, oppure il servizio sarà veramente scarso. Noi abbiamo fatto una proiezione per i prossimi tre anni, dando per scontato che continui la politica del massimo ribasso: i 26 milioni dovrebbero diventare 18,5. Poiché non abbiamo intenzione di licenziare - anzi, il nostro desiderio sarebbe sempre quello di assumere - ci dobbiamo chiedere come colmare il gap. Nell’affinity, con la spinta dell’obbligatorietà della Rc professionale, abbiamo un afflusso di nuovo business e ci saranno aumenti di ricavi, ma qui ci vuole un collettore unico, come una associazione, un ordine. Altro fenomeno, l’on line. Oggi sono 175 milioni gli europei che fanno acquisti su internet, il doppio rispetto a sei anni fa. Il 55% di chi ha una Rc auto singola prima controlla i prezzi on line, e il 27% chiede preventivi. La nostra strategia in questo ambito è cambiata. Nei nostri uffici avevamo polizze auto singole che erano più un problema che un’opportunità: richiedevano troppo tempo e probabilmente non erano molto efficienti nel prezzo, che è un fattore importante nella personal line. Così abbiamo realizzato un nostro sistema di preventivazione e trattiamo industrialmente l’auto. Prestiamo poi una grandissima attenzione a certe nicchie di mercato che hanno un margine più alto di altri settori, nei quali il cliente è più disponibile ad avere una consulenza di alto livello. Si tratta di settori come i bond, credito e cauzioni, construction, marine, fine art nei quali possiamo generare un grande valore per il cliente.

De Spirt. Willis Italia oltre a dare servizio al cliente corporate, ha un Dna da broker wholesale: prova ne è la replica italiana di un modello di network di piccoli broker già esistente da molti anni in Gran Bretagna. Infatti, nel 2009 abbiamo lanciato Willis Italian network (Win), che consiste nella partnership con broker locali indipendenti ai quali offriamo know how, servizi, prodotti e formazione (quest’ultima viene anche condivisa con le compagnie). Determinante è stato il lavoro di standardizzazione di alcuni prodotti distribuiti attraverso Win, destinati ai clienti Pmi che generalmente non vengono avvicinati da broker delle nostre dimensioni, anche solo per una questione di economicità. Ci siamo focalizzati, sull’ottimizzazione del processo di acquisizione del cliente Pmi per i nostri partner Win. Si tratta di una standardizzazione che non è supportata da una tecnologia sofisticata. Ciò dipende dall’obiettiva difficoltà di adattarla a diverse compagnie che al momento non sarebbero in grado di supportare tecnologie più avanzate. Ma soprattutto perché il rischio azienda ha un livello di complessità che difficilmente regge un processo di totale standardizzazione. Abbiamo messo a disposizione, per i clienti Pmi dei nostri partner, prodotti e condizioni generalmente riservati alle grandi aziende. Condizioni che, da sole, non avrebbero potuto ottenere dal mercato assicurativo se non con gran dispendio di tempo ed energia. Il modello Win solleva quindi sia il broker medio piccolo che la compagnia, dalla trattativa delle condizioni assicurative.

D. Ma Willis si comporta come un broker wholesale classico?

De Spirt.No. Generalmente il broker grossista intermedia direttamente con la compagnia il rischio che gli viene portato dal broker retail fino all’emissione della polizza. Nel modello wholesale di Win, invece, avviene il piazzamento sui mercati assicurativi di specifici prodotti e di modalità standardizzate di richiesta di quotazione, lasciando tutto il resto al broker del network. Win piazza i suoi rischi direttamente con le direzioni broker della compagnia e senza ulteriore intermediazione. Le compagnie, di contro, non devono trattare condizioni diverse da quanto è stato già predisposto e condiviso con Willis. Sono finora 46 broker aderenti a Win.

Araldi.I nostri obiettivi sono crescita organica, attenzione alle esigenze dei clienti sul territorio, e servizi innovativi anche in ambito distributivo. Marsh, presente in Italia con 14 uffici e 730 dipendenti, offre i propri servizi a grandi clienti, aziende del middle market, inclusi gli enti pubblici, ma anche i gruppi di affinità (come associazioni sportive, professionali e non-professionali). Ma quali sono le opportunità sul mercato italiano per una società di brokeraggio? Ci sono due grandi settori: il primo è rappresentato dalle grandi e medie imprese, il secondo è composto da società al di sotto dei 10 milioni di fatturato, Pmi professionisti, famiglie e individui. Il primo gruppo lo conosciamo bene: è il target classico dei broker e oggi si aspetta un servizio di livello qualitativo molto alto in termini di equilibrio economico-normativo delle coperture, di conoscenza dei singoli settori. L’attenzione in questo gruppo si è spostata molto sulla gestione del rischio. Le aziende ci chiedono di rendere più sicuri i loro bilanci, di affiancarle nell’individuare i driver di rischio con più dettaglio rispetto al passato per poter gestire anche le situazioni impreviste, alle quali la finanza da sola non è più in grado di far fronte, senza rischiare pesanti ripercussioni sull’attività e in casi estremi la chiusura. Le grandi imprese sono molto più attente anche ai cosiddetti “rischi di coda”, quelli che pur essendo meno probabili possono avere un impatto devastante. Le aziende del middle market hanno acquisito più consapevolezza sul tema della gestione dei rischi: con la crisi, le medie imprese hanno cambiato fornitori, mercati, talvolta prodotti e hanno dovuto riclassificare tutti i rischi e aggiungere quelli emergenti. È un fenomeno interessante: non hanno un risk manager e per questo devono avvalersi di esperti esterni (una sorta di outsourcing di questa funzione). Il secondo gruppo - quello delle piccole e microaziende - rappresenta un mercato in gran parte ancora inesplorato dai broker: parliamo di circa 4,5 milioni di imprese a partita Iva, servite soprattutto da agenti e banche. Più vicini al mercato consumer sono poi i professionisti, che hanno esigenze meno complesse ma più specifiche. Un target che serviamo nel segmento affinity e via web. Si tratta di un business importante per la nostra azienda (abbiamo 60 mila professionisti che si assicurano con noi), in continua crescita. Con lo stesso sistema abbiamo cominciato a vendere nove prodotti assicurativi ai dipendenti delle imprese. E in tempi di crisi, per le famiglie avere coperture competitive per l’auto, gli infortuni, le malattie, è importante.

D. Puntate molto sul web?

Araldi. In Italia, l’on line è destinato a crescere. Non sappiamo con quali tempi si svilupperà, ma è importante esserci per comprenderne meglio logiche e potenziale: le polizze auto ne sono un chiaro esempio. La combinazione tra la crescita della distribuzione via web e la crisi economica rende ancora più difficile la situazione per il canale distributivo composto dagli agenti e dai piccoli broker che è schiacciato da una riduzione delle provvigioni, e talvolta svilito nel suo ruolo consulenziale. Tuttavia, per le Pmi e le persone, la prossimità dell’intermediario è ancora importante. A questa evoluzione del mercato Marsh ha trovato una possibile alternativa in Insia, rete di broker assicurativi dell’Europa centro-orientale. Abbiamo scelto di investire in questo modello e di svilupparlo in vari paesi europei tra cui l’Italia, dove stiamo già partendo: entrando nella rete Insia i piccoli broker (e gli agenti che lo diventano) possono contare su prodotti di compagnie e servizi che permettono loro di tornare sul territorio con un bouquet di soluzioni, e con l’esperienza di un gruppo alle spalle.

D. L’aggregazione, la partnership con i piccoli-medi broker sembra essenziale nelle strategie delle grandi player…

SestilliNella mia esperienza in Aiba mi sono accorto che esiste un enorme scollamento tra la fascia dei broker medi e grandi (dove ci sono realtà anche di dimensioni importanti) e quella dei piccoli, che non riescono, non vogliono o non possono aggregarsi. Questi ultimi chiedono all’associazione un aiuto per trovare, trattare e raggiungere accordi con le compagnie che consentano loro di lavorare, di piazzare i rischi. Aiba deve aiutare tutti i suoi associati che sono tanti e in realtà molto differenti tra loro. Penso che in futuro si riuscirà a trovare un maggiore equilibrio attraverso aggregazioni o collaborazioni nelle quali realtà medio piccole si uniscano, si consorzino, creino network unendo capacità e competenze con lo scopo di ampliare l’offerta e abbassare i costi, anche unificando i sistemi informatici. Magari per linee di competenza o di prodotto. Oggi l’approccio di acquisto del consumatore è quello di un cliente evoluto, molto più informato grazie a internet. Ma per le strutture di piccole dimensioni la multicanalità è un problema. E Aiba dovrà aiutarle in questo settore. Tenendo conto, comunque che ogni broker ha l’obiettivo di fornire ai suoi clienti un servizio personalizzato e il più possibile di alto livello che è, o dovrebbe essere, assolutamente lontano dalla standardizzazione. Un’altra forte criticità è rappresentata dalla difficoltà di dialogare dal punto di vista informatico con le compagnie. A breve avremo dematerializzazione dei contrassegni, la digitalizzazione, l’home insurance. Ma nella vita di tutti i giorni facciamo fatica a trasmettere flussi informatici in andata e ritorno, segnalare incassi, inviare estratti conto a ricevere titoli, quietanze e polizze. In questo settore si possono ottenere grandi risparmi. Abbiamo istituito in Aiba gruppi di lavoro e commissioni per i controlli di gestione per per l’It, la normalizzazione dei flussi e una piattaforma informatica che aiuti broker e compagnie a colloquiare…

Viganotti.Ormai sono dieci anni o forse più che si parla di questa piattaforma, la cui realizzazione presenta due grandi difficoltà. La prima problematica è il numero sempre più ridotto delle compagnie assicurative presenti nel nostro paese, che ha già portato a una drastica riduzione e uniformità dei prodotti dedicati all’utente finale. Il secondo problema è l’Ivass, che costituisce un notevole ostacolo. L’autorità di vigilanza ritiene che il broker sia un professionista indipendente, e che quindi non possa avere un certo tipo di rapporti con le compagnie. La piattaforma per loro costituirebbe un’opportunità di legame diretto . Quindi è necessario fare in modo che l’authority modifichi la sua opinione in merito: questione che riteniamo non così semplice. Si potrà affrontare l’argomento della piattaforma solo quando potranno essere abolite le sezioni del Rui e l’intermediario dichiarerà al cliente se è un rappresentante della compagnia oppure no. Prima di risolvere i “conflitti” normativi, sarà difficile e, al limite controproducente, avere a disposizione un sistema che connetta direttamente broker e compagnie.

D. Gli altri broker come reagiscono alle sfide della congiuntura e alle politiche dei grandi?

Mendes. Eleonora Del Vento e io, unendo le esperienze accumulate nel settore assicurativo, abbiamo costituito la società circa un anno fa. Bis è un broker retail con un modello distributivo ibrido off line e on line. Siamo partiti dalla constatazione che su internet molti guardano le offerte, qualcuno fa il preventivo e pochi comprano, quasi sempre Rc auto. In altri mercati, come Inghilterra, Spagna, Australia, invece, i broker sono stati capaci di raggiungere via web anche altre nicchie oltre l’auto. Si tratta di mercati consolidati che in Italia non esistono, per cui crediamo che ci sia una serie di opportunità da cogliere. Su internet si compra poco perché il consumatore, soprattutto quello italiano, sente il bisogno di parlare e discutere con una persona vis-à-vis, magari nell’ufficio sotto casa. Il nostro modello di business ibrido vuole conciliare l’on line con la presenza sul territorio. Abbiamo una nostra rete di intermediari autorizzati diretti e accordi con società nel campo della mediazione del credito che controllano importanti network di intermediari assicurativi. Al network “fisico” stiamo anche aggiungendo operazioni di direct marketing per provare a raggiungere e testare particolari categorie di consumatori. Abbiamo realizzato, per esempio, Amo (www.amoassicurazioni.it) un sito per i proprietari di scooter Peugeot, perché sapevamo che c’era un forte interesse da parte di questa community di motociclisti. E tra poco lanceremo anche un aggregatore per la Rc professionale. Certo si tratta di un nuovo modello di business per il mercato italiano, tradizionalmente lento nel recepire i cambiamenti degli stili di consumo. Ma - ne sono convinto - se non si prova, non si saprà mai se le proposte saranno accettate o respinte dal mercato. Noi non vogliamo togliere quello che già funziona bene, ma aggiungere altre tecniche, altri tipi di approccio, perché pensiamo che ci siano nicchie interessanti e che sia possibile avere la fiducia del cliente con strumenti innovativi ma semplici. Quest’anno ci focalizzeremo, quindi, sul potenziamento della rete di intermediari, sul lancio della piattaforma on line full e-commerce e sullo sviluppo di alcuni dei modelli di business assicurativi di nicchia.

ArculeoMida è una società di brokeraggio assicurativo di medie dimensioni storica e proiettata all’innovazione: il 70% del nostro fatturato è generato dal settore corporate, il 30% dalla linea persona, legata prevalentemente all’indotto delle aziende. Stiamo progettando una politica di sviluppo in un contesto che presenta opportunità ma anche criticità; la nostra filosofia è quella di “parlare” all’impresa dei suoi problemi aziendali, molto meno di coperture assicurative che emergeranno, in modo naturale, come conseguenza. Vogliamo entrare nell’anima dell’azienda, essere partner dell’imprenditore. Il focus è (e sarà sempre più) orientato alla crescita delle competenze: oltre a una formazione tecnica settoriale specifica, abbiamo previsto percorsi didattici alternativi incentrati sulla comunicazione, sul marketing, sul problem solving che, insieme al posizionamento nel mondo web, riteniamo oggi strategici, essenziali alla nostra crescita aziendale. È in atto una forte riduzione delle operatività di back office, legata alla standardizzazione e automazione di processi ripetitivi, con l’obiettivo di recuperare efficienza e concentrarci sulla fidelizzazione e sullo sviluppo. Crediamo molto nelle potenzialità di internet, che permetterà il coinvolgimento di molti possibili clienti. Altro aspetto importante è l’aggregazione che crediamo una buona opportunità per le piccole e medie società di brokeraggio. Anche per il nostro settore sta emergendo l’opportunità di “fare rete”. Non è semplice: i broker sono individualisti e poco propensi a fondere varie personalità. Mida crede nelle sinergie e da diversi anni è parte di Brokers Italiani, consorzio che raccoglie un buon numero di società di brokeraggio distribuite sul territorio nazionale e la presenza di un network internazionale. Ritengo che il principio dell’aggregazione debba essere una strada obbligata: è una sfida difficile ma dobbiamo affrontarla.

Allia. Che il mercato assicurativo italiano sia iperconcentrato, ridotto a pochissimi player con i soliti prodotti e scarsissima propensione all’innovazione, non è certo una novità di oggi. E, infatti, da tempo il gruppo Aec si è rivolto al mercato dei Lloyd’s, ha acquisito mandati da compagnie internazionali - come Qbe, Xl, Cna, Ace, Torus, e più recentemente ha chiuso un accordo strategico con PartenerRe - con l’obiettivo di proporre agli intermediari nostri partner coperture che rispondano ai principi di adeguatezza per professionisti, aziende, enti pubblici. Il nostro modello di business, infatti, è quello dell’underwriting agency e wholesale broker: siamo fornitori di soluzioni per una rete di oltre 800 intermediari corrispondenti. Attraverso A&C Services offriamo anche la gestione in outsourcing delle richieste di risarcimento di enti locali che hanno coperture di responsabilità civile verso terzi. Nei nostri piani c’è un consolidamento degli accordi di collaborazione, l’ampliamento in nuovi mercati assicurativi e un focus particolare sulla formazione. In un momento in cui gli assicuratori continuano a diminuire, a causa di una continua concentrazione, l’ampliamento dell’offerta è sicuramente una strategia che riteniamo vincente.

Graziani. Mediass advanced consulting è un broker posizionato nei settori del corporate, delle aziende e degli enti pubblici. Per affrontare la riduzione della marginalità che deriva dalla congiuntura economica negativa, stiamo sviluppando un settore di business differente per recuperare redditività. La nostra idea è stata quella di coniugare le vendite dirette attraverso piattaforme e aggregatori con il modo tradizionale di fare distribuzione. Questo perché è vero che molti clienti utilizzano internet, ma la gran parte del personal line resta concentrata nelle mani degli intermediari. Abbiamo cercato di sfruttare il nuovo decreto sulle collaborazioni tra intermediari: infatti nel nostro modello l’agente o il broker mantiene la sua autonomia gestionale e noi andiamo a completare l’offerta in base al cambiamento degli stili di consumo della clientela. La nostra proposta di partnership (collaboriamo con 120 intermediari assicurativi) non si limita all’offerta tecnica; per collaborare con gli altri intermediari dobbiamo assomigliare sempre di più a un centro servizi, dal quale si ottengono anche strumenti di assistenza e di Crm, per gestire meglio il rapporto con i clienti in termini di costo/contatto. La partnership con broker e agenti deve creare un valore aggiunto al di là della semplice remunerazione, a livello di servizio e di recupero di efficienza. Questo sistema ci ha permesso di ottenere, nell’ultimo anno, molto lavoro nel campo degli affinity e di crescere anche nel corporate, particolarmente nel settore del credito e delle cauzioni.

D.Ma così non c’è il rischio che il broker si riduca a un semplice distributore di polizze, dimenticando la consulenza?

Graziani. Non credo. La richiesta più pressante che ci viene dagli intermediari è quella di formazione, soprattutto per migliorare la qualità della consulenza, caratteristica insita nel mestiere stesso di broker.

D. Fare network, fare squadra sembra essere tra le soluzioni preferite…

Pagani.Credo che una situazione difficile come quella in cui ci troviamo richieda di fare qualcosa di più della tradizionale consulenza nella gestione dei rischi. Ibk è un broker di nicchia, radicato nel tessuto produttivo del territorio. La nostra crescita (siamo una realtà piccola con 2 milioni di commissioni nel 2013) è continuata anche negli ultimi tempi. Ma ci siamo accorti che per dare un vero supporto al tessuto produttivo occorreva un servizio a 360 gradi per l’analisi, la gestione e le prevenzione del rischio. Così, insiemead altre tre aziende, già impegnate nella settore della sicurezza, abbiamo creato Protezione impresa, che è un’associazione senza scopo di lucro che promuove e divulga tra le imprese la cultura assicurativa e della protezione. Dal sito si può chiedere consulenza di risk management, di messa in sicurezza luoghi di lavoro, di formazione e di tutela legale. Fondamentale è la parte che riguarda la formazione che facciamo tramite convention o in forma più ristretta presso le aziende. Protezione impresa non nasce solo con un fine commerciale: crediamo, proprio perché siamo in un momento di difficoltà, che la crescita della coscienza assicurativa sia fondamentale per aumentare le precauzioni e razionalizzare il trasferimento del rischio. Oggi, nell’epoca della concorrenza globale, il fermo di produzione per un mese, a causa di una alluvione o di un incendio, mette in ginocchio qualsiasi Pmi e talvolta compromette la stessa continuità del business. Perché il lavoro viene dato a un altro o trasferito in Oriente. A livello più generale, noto che le compagnie spingono sempre il monomandato, vogliono avere agenti esclusivi. I broker medio-piccoli hanno poche alternative: devono unirsi tra di loro, per realizzare economie di scala e rendere efficiente la struttura aziendale, incrementare la loro professionalità e specializzarsi.

Tonet. Mi sembra che tutti concordiamo sul fatto che la situazione è pesantemente condizionata dalla eccessiva concentrazione del mercato assicurativo e dalla congiuntura negativa che spinge le aziende a tagliare su tutti i costi. I nostri clienti stanno facendo la “cura dimagrante”. E anche noi broker dobbiamo “dimagrire”. Per questo dobbiamo recuperare efficienza e contenere le spese. Per forza di cose si andrà verso fusioni. I broker falliscono più per problemi di liquidità e di redditività, non perché non sono bravi o non hanno buoni clienti. Per quanto riguarda gli agenti, la libera collaborazione non cambia i rapporti. Un conto è usarli come fornitori, e può essere utile, un conto è pensare che possiamo fare degli affari insieme. I nostri partner-target, quindi, sono essenzialmente tre. In primis, la rete bancaria (siamo l’ultimo dei grandi broker a essere emanazione di istituti di credito rimasti). Poi, le compagnie che credono nel canale broker (una cerchia ristretta scelta con un sistema di rating) e che soprattutto investono anche in tecnologia, fornendo, per esempio, sistemi per emettere direttamente le polizze, che consentono di ridurre i tempi di interazione con il cliente e i costi gestionali per il broker. Infine, partner-target sono anche i broker globali con i quali vogliamo collaborare nel campo degli enti pubblici e delle coperture internazionali. Noi intendiamo la collaborazione come uno scambio reciproco e vantaggioso per le due parti, e si può attuare solo conoscendo approfonditamente le persone, la loro lealtà. Stiamo portando avanti due progetti, il portale per gli affinity e il servizio valore aggiunto sui sinistri e sul credito. Della nostra strategia fanno parte anche la crescita per linee esterne e il cross selling per linee di rischio e per target specifici, come i key man. Resta sempre alta l’attenzione sull’informatica. Oggi esistono programmi di workflow e di document management che sono una rivoluzione nel mondo del trattamento della informazioni

ViganottiGli associati che Acb rappresenta a livello nazionale sono 450 e anche tra di loro si riscontra la polarizzazione che oggi vediamo nel mondo del brokeraggio. Da una parte le grandi realtà che hanno industrializzato la loro operatività e le fabbriche distributrici di prodotti, mentre dall’altra, i piccoli e medi professionisti con un’ attività più tradizionale. Le due parti hanno modelli di business diversi e riescono a convivere sul mercato. Certo, il complicato momento economico che stiamo vivendo e la recessione, in aggiunta ai costi crescenti , rendono difficile la situazione e non solo per le realtà più piccole. Dunque, quale soluzione adottare? Ritengo che non ci sia alternativa alle aggregazioni tra broker per ridurre i costi del back office, dell’informatizzazione e dei servizi post vendita. Un’altra possibile strada da percorrere è la specializzazione, il presidio di nicchie come il marine, gli employee benefit. In questa situazione il web può far recuperare molta efficienza a ogni singola struttura, ma deve sempre essere considerato un sostegno, un supporto alla normale operatività. Perché, è bene ricordarlo sempre: l’attività del broker è, e deve restare, la consulenza al cliente nella quale il trasferimento del rischio è solo una parte del servizio.

Se così non fosse verrebbe a mancare il ruolo del broker come consulente del cliente.  

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