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Capezzoli legali su Facebook, ma solo se a chiederlo è la comunità Lgbtq

A seguito della protesta per l'eliminazione di due post che mostravano i petti nudi di transgender e non-binari, Meta ha deciso di rivedere l'algoritmo della censura su Facebook e Instagram. Quando le proteste sono arrivate dal mondo della cultura non c'è stata la stessa attenzione

Capezzoli legali su Facebook, ma solo se a chiederlo è la comunità Lgbtq

Da anni, i social network gestiti da Mark Zuckerberg sotto le insegne di Meta (Facebook e Instagram su tutti) sono al centro di una polemica per l'eccesso di censura che vi viene applicata. In particolar modo si contesta l'atteggiamento talebano nel censurare i capezzoli, maschili e femminili, nelle immagini condivise. Come novelli "Braghettone", a Meta hanno sviluppato un algoritmo capace di individuare i capezzoli nelle immagini, che vengono eliminate e, nei casi ritenuti più gravi, segnalate. Anche quando si tratta di immagini di opere d'arte, quadri o sculture che siano. Ci sono state occasioni in cui i trasgressori sono stati addirittura sospesi o bannati dai social ma, una penalizzazione è comunque grave per gli algoritmi di questi social, che decidono in maniera più o meno arbitraria quale visibilità dare. Ebbene, l'algoritmo di rilevazione dei capezzoli sta per andare in soffitta.

La commissione interna, composta da accademici, politici e giornalisti, ha chiesto ai vertici di Meta di cambiare le norme che regolano le nudità. Il motivo? Avrebbero finora rappresentato una "discriminazione" nei confronti delle battaglie di emancipazione di donne, transgender, intersex e persone non binarie. La classica "goccia che ha fatto traboccare il vaso" è stato l'oscuramento di due post su Instagram che mostravano i petti nudi di persone transgender e non-binarie.

Stupisce quanto veloce possa essere il processo decisionale e quanto alta sia l'attenzione quando ad alzare la voce sono le comunità Lgbtq, che non appena hanno lamentato il problema sono state ascoltate e le loro rimostranze risolte. Però basta andare indietro nel tempo per trovare nelle cronache numerosi casi di profili oscurati per aver mostrato immagini di opere d'arte nelle quali sono rappresentati nudi. I profili di importanti enti culturali sono stati a volte oscurati, ma sempre censurati, perché le loro immagini erano considerate pornografiche.

Si può citare il caso del 2016 in cui Facebook decise che il quadro Amor vincit omnia di Caravaggio, un capolavoro dell'arte italiana del XVII secolo, fosse meritevole di censura perché mostrava un nudo maschile. La foto venne cancellata e l'art promoter che lo pubblicò, Hamilton Moura Filho Desivel, venne bannato dai social. E ancora, nel 2018 ha censurato i quadri dell'artista barocco Pieter Paul Rubens pubblicati dall'ente turistico delle Fiandre. E si potrebbe andare ancora avanti, riportando l'esempio de L'Origine du Monde di Gustave Courbet o ancora quella de L'Angelo incarnato di Leonardo Da Vinci e così via: sono decine i casi accaduti nel corso degli anni. Ma, evidentemente, l'arte non è meritevole d'attenzione e non ha un rango tale da essere ascoltata.

A differenza della comunità Lgbtq.

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