Martedì ne sono arrivati pezzetti qua e là. Schegge di una lettera piena di intenti, confessioni e stupori come vetri purissimi. E poi schegge di Gianna, comprensibilmente emozionata per la sua gravidanza da cinquantaquattrenne vissuta «alla Nannini». Ieri, però, le schegge si sono ricomposte tutte assieme, nella lettera, stavolta integrale, pubblicata da Vanity Fair. E tutto ha un po’ cambiato sapore. C’erano i versi che la cantante dedicherà alla sua bambina, Penelope, quando tra un mesetto nascerà e «sposterà tutti i suoi confini», le parole già impacchettate nell’album Io e te (in uscita l’11 gennaio).
E lì c’era tutta Gianna, quella che urla al cuore e ne vede i battiti, quella che, quando canta, sente l’aria. Quella che a sua figlia spiegherà al più presto che «Dio è una donna». Però poi, in quella stessa lettera, presa nella sua interezza, c’era anche la Gianna che forse gli altri, in questi mesi di polemiche e attacchi, hanno contribuito a creare. Si è messa talmente tanta corazza addosso, per proteggere lei e la sua bambina, glielo hanno talmente strapazzato tutti quel suo adorato pancione, che nella lettera su Vanity, accanto agli sprazzi della Nannini, c’è anche spazio (purtroppo) per la «maestra» Gianna. Hanno talmente provato a farla sentire disadatta all’esperienza più antica del mondo, che dell’esperienza più antica del mondo si è sentita di dover stendere un trattato. Salendo sulla cattedra della maternità, spiegando l’unica cosa riguardo alla quale c’è poco da spiegare. Suggerendo parecchie cose ai genitori, dando giudizi su come si dovrebbero educare i figli, auspicando una «patente» per questo complicato mestiere. Come se fosse, in sintesi, la prima al mondo a rimanere incinta. O almeno la prima al mondo ad essere pronta per esserlo. Molto poco Gianna, molto poco rock.
«Per mettere al mondo un figlio bisognerebbe prendere almeno la patente...» scriveva la cantante in un punto della lettera «spedita» a Penelope ma rivolta evidentemente a molti. E proseguiva ancora: «... Io la patente l’ho presa, perché negli anni ho imparato a vivere e ad amare. E ho imparato che prima di metterli al mondo, i figli, bisognerebbe fare un esame che tenga in considerazione il rispetto della vita altrui e della libertà... Perché chi crede che sia un diritto, e non un dovere, finisce per indottrinare i propri figli, anziché educarli...». E poi ancora, sull’altrettanto difficile «mestiere» di figlio:
«Specie da piccoli, quando si è in balia di genitori che spesso, trovando tanto difficile capire che cosa vuole un bambino, rinunciano a capire e decidono da soli che cosa è giusto per lui, e “sporcano” così la sua possibilità di vivere». Si sente che ha avuto tempo per pensarci.
Cinquattaquattro anni di consapevolezza. Anche se tanto, di solito, quando accade davvero si smette immediatamente di sentirsi pronti per quanto ci si sia riflettuto sopra. E in ogni caso non abbiamo voglia che qualcuno ce lo spieghi, semplicemente perché non ci serve. Così come la Nannini non ha voglia, semplicemente perché non le serve, di sentirsi ricordare o meglio rinfacciare tutti gli anni che le sono già passati addosso prima di concepire Penelope. Non adesso, mentre pensa a quale culla sia più adatta ad accogliere i sonni beati della sua piccina. Dovrebbe saperlo, Gianna, che non si pontifica sulla maternità altrui per il semplice fatto che in troppi hanno pontificato sulla sua. Per il semplice fatto che anela a ciò a cui anelano tutte. A starsene nel suo stupore potendo credere che sia solo il suo. A starsene nei propri tentativi cercando di evitare i propri errori.
Oggi che Gianna ha realizzato il suo sogno, e che per una figlia è pronta con la testa ancor più (secondo alcuni) che con il corpo, proviamo a
lasciarla in pace. In modo che ritorni ad essere Gianna. L’unico dubbio che in questa vicenda non ha mai sfiorato nessuno, è che Penelope rischi di avere una madre banale. E allora, non rendiamola tale a furia di affondi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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