Controcultura

"Ho visto Diabolik, il film. Una favolosa fuga nei '60"

Mario Gomboli, editore della mitica Astorina, racconta la sfida cinematografica dei Manetti

"Ho visto Diabolik, il film. Una favolosa fuga nei '60"

E poi disse «Non è bene che l'uomo sia solo». Così creò la donna. Eva. E c'è da dire che come entrata in scena, è splendida.

«L'idea di giocarsi tutta la storia con l'entrata in scena di Eva Kant è dei fratelli Manetti. E io ho approvato subito. Così è nato Diabolik». Il film.

Il film Diabolik dei Manetti Bros., Marco e Antonio, registi e sceneggiatori, è l'evento cinematografico dell'anno. Se i cinema fossero aperti. Preceduto nel 2012 da un naufragato progetto per una serie tv di Sky, annunciato nel 2018, girato a fine del 2019, finito a inizio 2020, il film è fermo da un anno. Fra le produzioni più costose di RaiCinema degli ultimi anni, Diabolik vale troppo per darlo in pasto allo streaming. E così si attende. E l'attesa genera curiosità, che a sua volta ha già partorito un cult. Il film dei Manetti non è ancora uscito e già si pensa a un sequel... Sono gli effetti di un'icona della cultura pop.

L'icona criminale dal fascino ambiguo nacque sessant'anni fa, tra poco. Era il novembre 1962 quando l'inafferrabile genio del Male inventato da due eleganti ragazze della Milano bene - le sorelle Giussani - conquistò prima migliaia, poi milioni di lettori, diventando insieme un simbolo del noir e dei coloratissimi '60. Storie in bianco e nero, copertine pop art, design all'avanguardia e terrore ancestrale. La paura è ciò che non si vede e non si sente. Come il sibilo di un pugnale. Swisss...

Le sorelle Giussani, scomparse da tempo, sono la storia. La cronaca - nera - la fa Mario Gomboli. Fumettista, sceneggiatore, illustratore e scrittore, è dal 1966 uno dei più prolifici soggettisti di Diabolik, e dal 2001 è sia patron della casa editrice Astorina che pubblica il fumetto, sia direttore responsabile della serie. Ecco perché i Manetti l'hanno chiamato a supervisionare il progetto. E se i due fratelli firmano la sceneggiatura con Michelangelo La Neve, per il soggetto si sono affidati a Gomboli. Scegliendo di adattare la storia del terzo episodio della serie, L'arresto di Diabolik, anno di uscita 1963, quando il Re del terrore incontra per la prima volta la sua futura compagna, Eva Kant. Eccola l'entrata in scena perfetta.

«Miriam Leone nella parte di Eva è perfetta, nonostante ciò che diranno i detrattori. È identica, persino nel modo di muoversi e di ammiccare. Ho visto il film finito, montato, ma senza colonna sonora. E i protagonisti sono azzeccatissimi. Luca Marinelli è il Diabolik migliore che si possa immaginare, non esistendo un sosia. Gli occhi sono i suoi. Forse, ecco, è un po' troppo serio, accigliato. Qui i registi hanno dato una regolata al Manetti style, che a volte va sopra le righe... E anche Valerio Mastandrea è un ottimo ispettore Ginko. Sì, l'originale è un po' più giovane... Ma ha imparato a fumare la pipa, che odiava... Persino Serena Rossi mi piace molto nel ruolo di Elizabeth, la prima fidanzata di Diabolik... L'infermiera che poi impazzisce. Se la ricorda?».

Mario Gomboli di Diabolik sa e si ricorda tutto. Ha scritto centinaia di soggetti, ha revisionato sceneggiature, ha sorvegliato sul personaggio come un padre sul figlio - se le sorelle Giussani sono state la madre. Dopo aver ereditato da loro la casa editrice Astorina, nel 2001, non solo è direttore responsabile della serie, ma è diventato un collezionista - «Ma no, diciamo che ho accumulato pezzi per arricchirne la storia» - da record. Ecco la sede-museo della casa editrice: un décollage di Mimmo Rotella con gli strappi del manifesto del film di Mario Bava, le locandine originali del '68, una serie di piccole sculture di Diabolik, fra cui quella in gesso che fece nel '63 Enzo Facciolo quando si presentò qui come disegnatore... E soprattutto una Jaguar E-Type originale, nera naturalmente. «Il mio primo acquisto». Che poi è quella prestata ai Manetti per girare. «Ma solo le scene statiche. Per quelle d'azione hanno usato una controfigura». Cioè la carrozzeria di un Jaguar in fibra di vetro montata su un telaio di un'auto sportiva di oggi. «La Jaguar non poteva mancare. È così bella che è lei il quarto protagonista del film».

Atmosfere polar e cast italianissimo, il film, ambientato nell'immaginifica Clerville, una piccola ville lumière fra Parigi e Milano («Ma secondo la piantina immaginaria ricostruita dal Diabolik Fan Club si trova a meno di 100 chilometri dal mare, qualcosa tipo Côte d'Azur») è stato girato nella Milano di oggi, tra Piazza Affari e palazzo di Giustizia. Poi a Bologna, dove è stato ricostruito il rifugio hi-tech con la Jaguar che entra nel tunnel e ruota su una grande piattaforma d'acciaio («I Manetti conoscono benissimo la città, avendoci girato la serie tv L'ispettore Coliandro»), a Trieste, per la scena finale sullo yacht, e a Courmayeur: lì è girata la scena madre, l'incontro tra Diabolik e Eva Kant, all'Hotel Royal. Un posto - lo sa bene chi ci è stato - rétro al punto giusto.

«Credo che il punto di forza del film sia proprio aver resistito alla tentazione di spostare la storia a oggi, e aver mantenuto l'ambientazione negli anni '60». Bottoni luminosi, mazzette di banconote di vecchie lire, niente cellulari e musica sixties di Aldo De Scalzi. «Fare indossare una maschera per assumere una nuova identità ha una sua originalità se avviene nel '62, quando ancora nessuno ci pensava; farlo oggi, dopo Mission impossible, sembrerebbe una brutta copia». E comunque far comunicare Diabolik e Eva con l'alfabeto morse sbattendo le palpebre, o mettere in scena un registratore a nastro Geloso, o vedere sfrecciare la Jaguar fra le Fiat 125, ha un fascino impagabile.

Certo. Poi è questione di stile. Quello dei Manetti. «Credo siano entrati a perfezione nella parte. Sono stati bravi perché hanno deciso di fare i Manetti che girano Diabolik, e non di girare un Diabolik visto dai Manetti». E un film di Diabolik non è la stessa cosa di un Diabolik dei Manetti. Che significa più noir, meno pop.

Per il resto, mentre ogni albo di Diabolik tira ancora centomila copie al mese, terzo fumetto d'avventura più venduto in Italia dopo Tex e Dylan Dog, la sfida adesso è una sola (due, in realtà: la prima è riaprire le sale...). E cioè acciuffare, parlando di criminali, non solo i lettori del fumetto, che già rimasero delusi dal film del '68 con una Marisa Mell eccessivamente erotica e un John Phillip Law che assomigliava troppo a James Bond. Ma anche i non fan. Altrimenti sarà un flop.

Ah. Sulla copertina dell'albo che ispira il film - intestazione rosso sangue in campo nero grondante su sfondo giallo - Diabolik è in manette.

E il suo sguardo sembra spaventato.

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