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Implacabile nemico della Siria: giornalista ammazzato a Beirut

Dopo l’assassinio dell’ex premier Hariri, ucciso noto editorialista libanese. Damasco: non c’entriamo

Gian Micalessin

da Beirut

L’ultimo affondo era di venerdì e s’intitolava «Gaffe dopo gaffe». In quel commento troppo profetico Samir Kassim raccontava l’irrefrenabile vocazione siriana a perseguire dissidenti e oppositori nonostante l’annuncio d’imminenti riforme. Ora Samir direbbe di averlo sperimentato di persona. Ma non potrà mai scriverlo. Il suo corpo carbonizzato è un ammasso informe sul sedile destro della sua auto . «È entrato, ha messo in moto e la macchina è esplosa», racconta il fioraio Adel Hassan mentre raccoglie tra rose e gardenie quello che resta della sua vetrina.
«Certo che lo conoscevo, abitava qui al settimo piano, era mio cliente, e poi chi non conosceva lui e Giselle». Lui Samir, 45 anni appena compiuti, penna simbolo del quotidiano An Nahar, acerrimo e implacabile nemico della Siria. Lei Giselle al Khouri, il fascinoso volto libanese di Al Arabia. Per un attimo tutti hanno temuto che tra le lamiere di quell’Alfa Romeo 156 ci fosse anche lei. Invece è negli Stati Uniti, e gli amici di Samir hanno dovuto chiamarla, svegliarla, informarla prima che accendesse la televisione.
I commenti di Samir, la sua rubrica fissa di ogni venerdì erano l’emblema della battaglia di questo giornale, voce e simbolo dell’opposizione anti-siriana. E qui nessuno ha dubbi su chi puntare il dito, su chi accusare per l’assassinio di questo giornalista e professore di Scienze politiche con passaporto francese e libanese. Anche se la Siria respinge sdegnata le accuse definendole prive di fondamento.
«I siriani devono abbandonare per sempre il Libano, devono mettere fine alle interferenze, devono ritirare gli agenti dei servizi segreti rimasti dietro le linee», ci diceva lunedì Gebran Tueri, proprietario e direttore del quotidiano An Nahar appena eletto al Parlamento. Ora lo ripete con maggior rabbia. «Il regime siriano è responsabile dalla A alla Z per questo orribile crimine terroristico, l’opposizione deve serrare i ranghi e smantellare senza pietà anche l’ultima cellula di spie siriane in Libano, non dobbiamo più permettere ad Assad di tenere un solo agente in questo Paese».
Ad Ashrafie una piccola folla di amici e colleghi fa la spola tra i rottami dell’Alfa Romeo. «Basta guardare i rottami per capire chi è stato - fa notare Boutros Harb, deputato, amico e avvocato di Samir -. Qui intorno hanno danneggiato solo due vetrine, l’esplosione era destinata a uccidere solo lui». Lo dicono anche gli esperti dei servizi di sicurezza libanesi. Per eliminare quel giornalista nemico di Damasco sono bastati 300 grammi di plastico nascosti da mani esperte sotto il sedile e un innesco collegato all’accensione o un telecomando azionato a distanza. Un lavoro da professionisti, dicono qui, con la chiara firma di Damasco.
Resta da chiedersi perché quel regime, già sospettato dell’omicidio Hariri e accusato da Washington di appoggiare gli insorti iracheni, commetta un altro suicidio politico. «Perché non hanno più niente da perdere, perché vogliono solo vendicarsi», ringhia l’avvocato Harb, che ricorda come Samir vivesse sotto minaccia da più di un decennio. E lo confermano tutti i leader dell’opposizione libanese. «Lo hanno ucciso le stesse mani sporche di sangue che a febbraio assassinarono mio padre», accusa il neo-eletto Saad Hariri.
Walid Jumblatt non esita a puntare il dito contro il presidente libanese Emile Lahoud. «Finché i servizi siriani resteranno tra noi e la testa del serpente continuerà a occupare il palazzo presidenziale di Baabda - ripete ai giornalisti il capo druso -, gli assassinii non potranno mai terminare».

L’opposizione ha chiesto le dimissioni di Lahoud e ha proclamato uno sciopero generale per oggi.

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