S trette di mano e porte in faccia. Le azzurre dell’hockey ghiaccio che sfilano sui pattini incrociando le ragazze canadesi per salutarle subito dopo aver subito un sonoro 16-0 ai Giochi di Torino. Gli azzurri del rugby che escono a testa alta dal Flaminio passando in mezzo agli inglesi che li applaudono. Poi cambi canale e trovi Dejan Stankovic che esce da San Siro sbattendo letteralmente la porta degli spogliatoi, chiudendola in faccia alla telecamera, ma sorattutto al guardalinee Di Mauro e agli juventini che erano rimasti in campo a festeggiare.
Perché il calcio, ancora una volta, riesce ad offrire uno spettacolo diverso, stonato, rispetto al resto dello sport? Non è una questione di forma, di etichetta: qui entrano in scena altri valori, difficili da correggere, da estirpare. Lo stress? La tensione per la sfida dell’anno? Difficile immaginare che un’Italia-Inghilterra del Sei Nazioni non possa dare lo stesso tipo di carica emotiva, di tensione. Eppure anche nel rugby c’è stato da recriminare per gli arbitraggi, senza bisogno di preparare i dossier. Così come è impensabile che non siano sotto stress le povere azzurre dell’hockey, costrette a confrontarsi ogni giorno con un’Olimpiade molto più grande di loro.
Eppure stridono queste immagini a confronto. Stride l’idea che qualsiasi partita di calcio non possa concludersi come negli altri sport, con una stretta di mano agli avversari, tutti insieme in mezzo al campo. Un gesto formale, sì, ma significativo. Nel rugby lo impone la tradizione: quando si esce dal terreno di gioco, prima gli sconfitti applaudono i vincitori e poi questi ultimi ricambiano l’onore. Anche se hanno appena smesso di darsele di santa ragione in tutte le mischie. E il tutto senza scomodare il rito del terzo tempo. Nella pallavolo ci si saluta sfilando sotto rete, nel baseball le due squadre si incrociano sul monte di lancio a fine gara, nell’hockey si scambiano un «cinque» attraversando il ghiaccio in diagonale. Persino nella boxe i due avversari si salutano formalmente a centro ring al momento del verdetto.
Nel pallone no. Tutto deve finire sempre con un rientro confuso negli spogliatoi, se non con una fuga.
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