È complicato pensare a cento giorni politicamente peggiori rispetto a quelli vissuti da Elly Schlein da quando si è insediata alla segreteria nazionale del Partito democratico. Eppure, quando vinse a sorpresa le primarie lo scorso inverno, in molti pensavano che il nuovo percorso intrapreso dal Pd potesse portare fin da subito a risultati entusiasmanti. La base si era improvvisamente vivacizzata all'ufficializzazione della vincitrice del Nazareno: archiviato Enrico Letta, dal 12 marzo è così partita ufficialmente la nuova era schleiniana. Ma l'illusione di assistere a un Pd "che rinascerà più bello e più splendente di prima" (parafrasando il "Nerone" di Ettore Petrolini) si è spento in un battibaleno.
Da questo punto di vista, la direzione del Pd svolta ieri pomeriggio è stata molto emblematica. Moltissime chiacchiere da parte della segretaria e pochissime (nonché altrettanto banali) proposte politiche da contrastare al governo di centrodestra. Ma è sul tutto il discorso relativo alla minoranza interna - e agli altri partiti che dovrebbero fare (in teoria) parte dell'ampia coalizione del centrosinistra - che il Nazareno è crisi totale. Schlein ha provato a uscire dall'accerchiamento delle ultime ore: "Se a qualcuno questa linea non piace, lo ammetta e non trovi altre scuse. Chi cerca l'incidente ogni giorno mi troverà sempre dall'altra parte". Ma, al momento, l'unico posto dal quale si trova in questo momento si trova dall'altra parte della barricata è la tanta declamata "chiarezza della linea politica".
Dalle sconfitte alle supercazzole
Ma che ci fosse qualcosa che non andasse con l'approdo della nuova leader lo si poteva capirlo fin da subito: il mese e mezzo di tempo per mettere in piedi la segreteria era già sintomo di una disorganizzazione e di un'agitazione piuttosto palpabile. Ma è stato poi su tutti gli altri versanti dove la Schlein si è rivelata un disastro assoluto. È riuscita a perdere nettamente tutte le competizioni elettorali a cui il centrosinistra ha gareggiato dal suo insediamento al Nazareno (Regionali in Friuli-Venezia Giulia e amministrative varie) e non è riuscita a dare una minima linea politica coerente a tutto il suo movimento. L'unico concetto fondamentale che è rimasto scolpito nella memoria di tutti, oltre alle litanie sull'antifascismo e sui diritti civili, è stata l'armocromia.
Non solo: ma le sue figuracce nelle sedi istituzionali oltrepassato il senso del ridicolo: fosse dipesa da lei, ogni giorno si doveva dimettere almeno un ministro al giorno. In rigoroso ordine cronologico: Piantedosi, Lollobrigida, Valditara, Nordio e, già che cera, anche la Roccella, "rea" di non avere accettato il consenso delle manifestanti femministe che le avevano impedito fisicamente di presentare il suo libro al Salone di Torino. La ministra della Famiglia aveva concesso loro "appena" dieci minuti di intervento: avrebbe dovuto farla parlare per l'intera durata della Fiera, probabilmente. L'unica volta che ha parlato pubblicamente faccia a faccia con Giorgia Meloni in Parlamento ha preso una sonora bastonatura dialettica (si parlava del salario minimo).
Il bivio della Schlein
Le sue supercazzole in conferenza stampa su termovalorizzatore, reddito di cittadinanza, armi in Ucraina, abuso d'ufficio e alleanze strutturale con Cinque Stelle o Terzo polo sono rimaste immortali: e di fronte a questo bivio non ha ancora per niente deciso come comportarsi.
Gli adii di Fioroni, Borghi, Marcucci, e Cottarelli hanno messo in luce il fatto che il Partito Democratico stia prendendo una piega populista e radicale e gli abbracci mortali di Elly a battaglie perse in partenza come gli ecovandali, la cannabis e l'utero in affitto siglano una morte pressoché certa del campo giallorosso agli occhi di un'opinione pubblica che ha ben altre priorità a cui pensare adesso rispetto alla legalizzazione delle droghe leggere e della maternità surrogata. E lo sono ancora di più in confronto al fatto di avere assunto una personale armocromista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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