Un Churchill, col suo ridicolo naso a patata e quella bazza francamente comica; o un De Gaulle, con quelle orecchie in fuga dal cranio e il naso in fuga dalla faccia o, per venire a tempi più recenti, e ad esempi più domestici: un Andreotti, fatto com'era fatto Andreotti, o una Cancellieri, con la sua permanente anni Cinquanta e la sua lieta spensieratezza, dalle parti della linea di galleggiamento, li avrebbero fatti accomodare davanti, «chez Georges»? O sarebbero stati dirottati -con garbo, si capisce, con eleganza- tra la seconda e la terza fila, dove le luci della ribalta arrivano più smorzate, e l'occhio del pubblico indugia poco e niente ed è comunque più disposto a una certa longanimità? Davanti, davanti, in prima fila! è stata la risposta delle cameriere al «Georges», ristorante parigino superlusso e supersnob della catena Costes. Ma loro, quelli che abbiamo citato, sono la classica eccezione alla regola, hanno spiegato le ragazze. Perché c'è solo una possibile alternativa all'essere bruttini, o, dioguardi, francamente brutti, chez Georges: ed è l'essere famosi. Tutti gli altri: raus! Nelle retrovie, dietro le colonne, dalle parti della cucina e della toilette. Ma senza parere. Con garbo, sempre. Come si farebbe, con un soccorrevole sorriso, sul metro con un portatore di handicap.
Perché qui stiamo parlando di alta società, dello chic quintessenziale, di lusso, calma e voluttà. Roba riservata a gente bella anche se non necessariamente dannata. Li riconosci a prima vista, del resto, i clienti della prima fila. Lui, palestrato e con un filo d'abbronzatura, indossa un abito a doppio petto gessato a righe sottilissime di lana Canali, una camicia Bill Blass, una cravatta Joseph Abbound e scarpe Brooks Brothers. Lei, un'aria trasognata alla Uma Thurman in Pulp fiction ha un abitino di maglia Giorgio Sant'Angelo, scarpe Betsey Johnson di raso nero e calze nere di strass argentate. Roba da jet set, si diceva una volta. Roba da American Psycho, da cui abbiamo pescato a man salva.
Insomma, aveva ragione il professor Catalano, il profeta dell'ovvio che sermoneggiava a Quelli della Notte, quando Arbore faceva la Tv: essere cioè belli, ricchi e famosi, è meglio che essere brutti, poveri e dotati di mala salute. Se siete di questi, voi che leggete, allora la presente storia non fa per voi.
Hanno dunque raccontato due cameriere (ex cameriere, per la verità) di uno dei ristoranti più in voga della Ville Lumière, piazzato sulla cima del Centro Pompidou, vista impareggiabile, che la direzione ha ordinato di «nascondere» i clienti più brutti laggiù, tra i tavoli più defilati; mentre i clienti belli, i meglio vestiti, i più ganzi vanno invece esposti in prima fila, sparpagliati fra i tavoli più appetiti. Una differenza fondamentale, che le cameriere devono captare al primo sguardo. E se viene un Onassis, una Margherita Hack buonanima? Che domande. La distinzione vale per i signori nessuno, cioè per la maggior parte di noi.
Razzismo, dite? Apartheid? Be', razzismo forse no. Forse solo un esempio di perverso edonismo di nuovissimo conio, di tipo vagamente «ariano». O solo un caso di stratosferica coglioneria, indotta dai tempi. E i tempi dicono che fra l'essere e l'apparire non c'è gara.
Fondamentale è apparire, anche se era dai tempi dell'«uomo che non deve chiedere mai» (per le donne c'è l'imbarazzo della scelta: scegliete voi l'esempio che più vi garba negli annali della pubblicità in cui le ragazze sono sempre belle e impossibili); era dai tempi di quell'uomo, torbido, macho e puttaniere, dicevamo, che non si assisteva a un simile, imbarazzante trionfo di narcisismo cretino e discriminatorio. Purché i fondamentali non cambino, s'intende. Perché se si scopre che oltre a macho e puttaniere quel tipo non era desolatamente cretino, ma anche intelligente e colto siamo nei guai, noi normali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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