La stanza di Feltri

Io, Silvio, Indro e "Il Giornale" di oggi

Dalla carta stampata sono sempre stato attratto, tanto che sotto il banco di scuola, quando poi sono giunto alle elementari, tenevo una copia di questo o quel quotidiano

Io, Silvio, Indro e "Il Giornale" di oggi

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Io, Silvio, Indro e "Il Giornale" di oggi

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Gentile Direttore,
vediamo se riesco ad avere una Sua gradita risposta a questa domanda: Lei, che di giornalismo ne vive da quando è nato, mentre io, figlio di un tipografo post gutenberghiano, nella cui tipografia ho imparato a leggere e scrivere, mettendo insieme i caratteri mobili, diventando un dinosauro digitale, Lei, ora che è tornato al «Giornale», non sente la mancanza del Suo creatore, mentore ed editore, inventore della comunicazione moderna? Lei ha scritto varie volte che Silvio l'ha fatto ricco, non crede che la stampa cartacea abbia ormai i giorni contati? Le vendite e le tirature scendono, l'intelligenza artificiale sale. Come sarebbe stato Silvio? Cartaceo, televisivo o digitale/artificiale? Lei come si vede per il futuro?
Antonio Gallo

Caro Antonio,
lei ha imparato a leggere e scrivere più o meno da solo, giocando con i caratteri mobili nella tipografia di suo padre; io, invece, che ho appreso a farlo altrettanto in solitudine, assistito di tanto in tanto dalla zia Tina, alla quale chiedevo snervandola: «Cosa c'è scritto qui? E qui?», mi sono formato al riconoscimento delle lettere dell'alfabeto e alla loro combinazione proprio sfogliando i giornali. Dalla carta stampata sono sempre stato attratto, tanto che sotto il banco di scuola, quando poi sono giunto alle elementari, tenevo una copia di questo o quel quotidiano e ogni tanto, quando il maestro non se ne accorgeva, abbassavo lo sguardo per dare un'occhiata. Ricordo le volte che accompagnavo la mamma presso il salone della parrucchiera. Vi trovavo pile di giornali di ogni tipo. Io mi soffermavo su «La Stanza» di Montanelli sulla Domenica del Corriere e pensavo, nella mia ingenuità infantile: «Questo signore deve proprio essere importante se ha una stanza tutta per sé».

Sulla scia di questa memoria sottolineo qualcosa che corregge quanto lei ha scritto, sperando che questo non la offenda. Ammiro e stimo Silvio Berlusconi, un innovatore, un precursore dei tempi, abilissimo imprenditore, uomo che si è fatto da solo, dall'entusiasmo e dal carisma trascinanti come le acque del fiume più potente, ma non è stato mio mentore né è stato il creatore di questo foglio su cui mi sta leggendo. È stato Indro Montanelli a creare il Giornale e, in qualche maniera, è stato questi il mio mentore, mi sono spesso affidato ai suoi consigli, frutto della sua esperienza, più lunga della mia, e della sua saggezza. Ci incontravamo qualche volta per un pranzo che oserei definire «intimo» e spartano. Soltanto noi due, in una trattoria toscana che non era di sicuro un ristorante alla moda e patinato dove avresti potuto pranzare accanto ai famosi. Indro teneva una fiasco di vino ai suoi piedi e lo versava al suo ospite, ossia a me, con una cura e una premura che mi sorprendevano puntualmente. Perché tenesse sul pavimento il vino e fosse lui a dosarlo nei bicchieri autodelegandosi il compito del cameriere non l'ho mai compreso. Una tenera stranezza di un uomo molto sui generis. Certo è che, come Montanelli ha sempre riconosciuto, Berlusconi decise subito di sostenere il progetto di Indro e lasciò quest'ultimo sempre libero di fare il direttore e il giornalista, senza intromettersi nella linea editoriale, senza prevaricare mai Indro. Questo fatto non bastò, tuttavia, a quietare i timori di Indro non appena Berlusconi assunse la risoluzione di scendere nell'agone politico. Penso che Montanelli temesse che Silvio sarebbe stato massacrato dai suoi detrattori e non soltanto che la sua personale libertà di fare il giornale sarebbe in qualche modo stata inquinata, limitata, compromessa. E fu così, per farla breve, che giunsi io alla direzione del Giornale. Correva l'anno 1994. Come non potrei essere grato al Cavaliere che mi ritenne meritevole di essere successore di Montanelli? Peraltro, come dico sempre, Berlusconi mi fece ricco, ma non perché prima fossi povero. Guadagnavo molto bene come giornalista. Con Berlusconi feci il salto di qualità. Forse per presunzione, virtù che ammetto di possedere, mi tocca specificare che pure a Berlusconi convenne assumermi: le vendite del Giornale crebbero in maniera impressionante, deludendo coloro i quali avevano vaticinato che senza Indro il foglio da lui fondato sarebbe deceduto. Dolci soddisfazioni!

Mi hai chiesto di parlarti del futuro e ti ho parlato fin qui del passato. Del resto, come potremmo progettare l'avvenire senza tener conto di quello che è stato o leggere il presente senza considerare ciò che è accaduto ieri?

Come sarebbe stato Silvio? Non lo so. E poi, caro Antonio, ha qualche senso interrogarsi sulle ipotesi? Io so soltanto come è stato quest'uomo: sempre un passo avanti rispetto a tutti noi, pur essendo più grande o più vecchio di noi, era straordinariamente contemporaneo, giovane e giovanile. Il digitale? Lo avrebbe padroneggiato, quindi.

Quanto a me, tu domandi come mi veda per il futuro. Senza dubbio ancora qui.

Qui a rompere le scatole.

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