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Libertà di piazza solo se protestano gli amici di sinistra

All'indomani dei fatti di Pisa a parlare della necessità di una possibile "autocritica" è stato lo stesso ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi

Libertà di piazza solo se protestano gli amici di sinistra

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All'indomani dei fatti di Pisa a parlare della necessità di una possibile «autocritica» è stato lo stesso ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, che ha sottolineato come si debba esaminare bene cosa abbia portato le forze di polizia a usare i manganelli di fronte all'avanzata dei manifestanti. La posizione prudente del ministro discende certo dall'esigenza di valutare nei dettagli quanto è avvenuto (perché le forze dell'ordine devono muoversi all'interno di regole ben precise), ma è sicuramente vero basti pensare alle dichiarazioni del presidente Mattarella che il fatto che i giovani inneggiassero alla Palestina ha subito creato un clima particolare, spingendo larga parte della politica e del mondo intellettuale a decidere da parte sta il torto e da quale la ragione.

Per questo motivo non è sorprendente che Giovanna Iannantuoni (nella foto), presidentessa della Crui (l'associazione che riunisce i rettori delle università in presenza), abbia detto di osservare «con preoccupazione ciò che sta avvenendo in diverse città d'Italia», sottolineando «l'impegno costante delle università a favorire il dialogo pacifico e la convivenza fra tesi opposte, che è nella natura stessa della ricerca scientifica quale missione accademica». C'è però da chiedersi cosa sarebbe successo se a scendere in piazza e a farsi malmenare non fossero stati manifestanti di sinistra tanto cari ai padrone del vapore, ma invece militanti di destra oppure contadini in rivolta contro la politica agricola europea.

L'associazione dei rettori ha voluto ricordare come «il diritto a manifestare rappresenti una delle più importanti conquiste della storia della democrazia occidentale e come tale vada garantito e preservato». Parole d'oro. Peccato che la stessa Crui fosse del tutto silente quando non molto tempo fa studenti universitari che esprimevano le loro perplessità su questioni meno gradite al mondo progressista e agli stessi rettori (si pensi, per fare un esempio, all'obbligo vaccinale e al fatto che a molti studenti sia stato impedito di entrare in aula) venivano violati nei loro diritti e magari erano investiti dal getto degli idranti: come accadde poco più di due anni a Trieste.

Non solo: nel maggio scorso una decina di studenti di Azione Universitaria è stata aggredita all'uscita della propria facoltà, in via Zamboni a Bologna. Nessuno ricorda prese di posizioni della Crui a favore dell'incolumità dei ragazzi di destra e del pieno diritto di esprimere le loro idee. Eppure quando l'associazione dei rettori delle università tradizionali afferma il «diritto a manifestare» degli studenti, come ha fatto nelle scorse ore, la formula dovrebbe essere intesa nel senso più ampio possibile: quale tutela della libertà di tutti, e non solo di alcuni.

La facoltà di manifestare non è qualcosa da riservarsi a quelli di destra oppure di sinistra, a chi è con il governo di Israele oppure con Hamas, a chi impose l'obbligo vaccinale oppure a chi lo subì.

E invece l'apparato dirigente dell'accademia italiana continua a usare due pesi e due misure, dato che è perfettamente allineato a una parte politica (sostanzialmente al Pd) e usa quindi la bandiera dell'inclusione e della libertà di parola soltanto quando fa comodo.

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