
Magari è solo un'iniziativa limitata alla tragedia di Gaza, un'intesa «una tantum», un ballon d'essai anche perché i caratteri dei due personaggi, burberi, scontrosi, portati alla polemica e a volte all'ira sono quello che sono ma se per caso Matteo Renzi e Carlo Calenda trovassero un modo per andare a braccetto (la fantasia è sempre al potere) lo scenario politico si modificherebbe non poco. Qualcuno si domanderà come possono i due riaprire un discorso dopo il clamoroso divorzio consumato appena sei mesi dopo le elezioni politiche? Vero, ma la politica è il regno del possibile e dell'impossibile. Basterebbe un bagno di umiltà, imparare dalla lezione del Cav, il vecchio insegnamento dell'essere «concavi e convessi» e magari chiedere scusa a bassa voce agli elettori per il tempo sprecato. Difficile, complicato, sicuramente ma tra tante differenze i due hanno un tratto in comune: sono entrambi spericolati. E poi quello che conta è che l'intuizione di una forza centrale, in questo scenario orientata a sinistra, che abbia le fattezze di un terzo polo ma che ne sia anche la metamorfosi calata nella realtà non è venuta meno. Anzi. La dimostrazione è proprio nelle due manifestazioni distinte e distanti su Gaza dei «centristi» e della sinistra, una a Milano e una a Roma.
Detto questo siamo ancora ai prolegomeni e probabilmente il processo che punta a rimettere le lancette del tempo indietro o, magari suona meglio, che ambisce ad un ritorno al futuro, non comincerà mai. Ciò non toglie che bisogna stare attenti a quei due, a sinistra come a destra, perché la forza delle cose nel tempo appiana i contrasti e rimuove i dissapori. Se anche Macron e la Meloni riescono a siglare una tregua, figurarsi se Renzi e Calenda non possono fumare il calumet della pace.
Anche perché la domanda nell'attuale geografia politica c'è. Eccome. Per ora il «centro» del campo largo continua ad essere un'araba fenice: sono abortiti nel tempo una serie di progetti, sono stati archiviati un buon numero di potenziali «federatori», si parla di una nuova margherita un giorno sì e uno no ma alla fine non sboccia mai.
Allora tanto vale partire da quello che c'è, da una base di consenso che già esiste. Uniti insieme Italia Viva e Azione oggi equivalgono, almeno nei sondaggi, al consenso del partito di Fratoianni e Bonelli. Quindi un soggetto, una federazione, una «cosa» del genere sposterebbe l'asse di una coalizione proiettata molto, troppo, a sinistra e creerebbe una propaggine che potrebbe attirare pure pezzi di elettorato centrista. Non solo: un gruppo del genere o una federazione del genere potrebbe dare una casa ai riformisti del Pd, che nel partito versione Schlein, debbono accontentarsi di spazi sempre più angusti. Non a caso alla manifestazione di Milano parteciperanno
personaggi di quel mondo come Guerini, Gori, Picierno, Madia. E poi ci sono gli insoddisfatti del momento: c'è un Vincenzo De Luca che non trova pace e un Beppe Sala in cerca di dimora politica. Troppi galli nel pollaio? Certo. Ma i soggetti di centro - basta ricordare la Dc - debbono avere molti leader per interpretare diverse politiche. Naturalmente è probabile che un tale soggetto potrebbe innervosire sia la Schlein, sia Conte, cioè i due papabili delle primarie del campo largo. La presenza di un «centro» organizzato, però, renderebbe più potabili le loro ipotetiche candidature presso un elettorato più vasto di quello di sinistra.
C'è chi dirà che siamo alla fantapolitica, altri all'horror, altri, invece, ci vedranno una proposta politica che gli va incontro. Sicuramente, però, c'è una domanda politica che per ora non trova risposte: la prova è nella manifestazione di Milano.
E se un'ipotesi del genere si verificasse, la maggioranza di governo farebbe bene a rifletterci su: una corsa identitaria a destra può lasciare scoperto il fianco moderato. Certo lì c'è Forza Italia ma a quel punto andrebbe assecondata.