Cinema

L'addio di Harrison Ford. "L'ultimo Indiana Jones perché mi piace la storia"

"Il quadrante del destino" nei cinema dal 28. Nelle prime scene l'attore è "ringiovanito"

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Il destino - in questo caso il quadrante che lo determina - è strettamente collegato al tempo. E ad esso si riconducono le domande spontanee che sorgono oggi quando il soggetto è Indiana Jones. È accaduto a Cannes dove è stato chiesto ad Harrison Ford se ci sarà ancora un seguito. Insinuazione che solleticava un discorso birichino sull'età del protagonista già oggi ottuagenario. In quell'occasione l'attore disse che «l'età conta» e aggiunse all'interlocutore se avesse «visto la mia faccia».

All'incontro internazionale che precede l'uscita di Indiana Jones e il quadrante del destino, prevista in Italia per il 28 giugno, ogni discorso sull'età sembra tramontare e trasformarsi in qualcos'altro forse perché è inevitabile pensare come un uomo di ottant'anni possa recitare un domani nei panni dell'archeologo più avventuroso della storia del cinema. Così il tema si trasforma nella debolezza, fisica più che narrativa, del personaggio che peraltro esordisce nelle prime scene con le fattezze di molti decenni fa. «La fragilità di Indiana Jones deriva dalla sospensione della sua attività accademica - spiega Ford - ma soprattutto dai quindici anni di intervallo che separano questo film dal precedente della saga». «E questa è anche la sua forza» rincara Phoebe Waller-Bridge che interpreta la sua figlioccia e lo accompagna nel viaggio attraverso il tempo.

Difficile per ora immaginare se il futuro porterà nuove sfide, quella che sta per arrivare sul grande schermo in un periodo che non è propriamente ideale per il cinema, nasce dall'entusiasmo «per una storia che mi ha colpito - dice Harrison Ford - e una sceneggiatura davvero stimolante e interessante». Di certo c'è che il professor Jones, strappato alla noia dell'età pensionabile da un nuovo intrigo, porta con sé un'aiutante che condivide la sua stessa passione per l'archeologia. «Questo ho imparato da Helena, dandole vita e cuore - confessa Phoebe Waller-Bridge -. La passione per la ricerca, il brivido dell'emozione anche quando la storia ci ha portati in un vicolo cieco sensoriale dal quale non sembrava esserci uscita».

Uno sforzo che ha richiesto lavoro anche per Mads Mikkelsen che recita nei panni del rivale di Indiana Jones. Se uno deve tornare all'epoca di Archimede, l'altro ha il solo desiderio di azzerare qualche manciata di lustri per ritrovarsi all'inizio della seconda guerra mondiale e imprimervi uno slancio diverso a quello avuto dalla Storia. «È la prima volta che faccio il nazista e mi sono trovato un po' sorpreso perché ho dovuto cercare di capire le sensazioni e le attese di quel mondo che non mi appartengono».

Per l'interprete danese si è comunque trattato di un debutto non solo nei panni di un ufficiale delle SS ma anche nel ciclo del celebre archeologo. «Avevo visto le altre puntate con mio fratello, non ricordo se al cinema oppure registrate, certo posso dire che queste avventure fanno venir voglia di diventare Indiana Jones, più che fare l'attore in senso lato». Una frontiera poi superata di cui non ha dimenticato il consiglio per arrivare alla consacrazione. «Ricordati che sei un bugiardo professionista. Non mentire credendoti altro».

Proprio in questo si è concentrata la sfida più insidiosa nelle riprese del film. «Certo potrei parlare della difficoltà di girare in contesti molto differenti e dover spostare i set da una parte all'altra del mondo - spiega il regista James Mangold -. È decisamente più comodo lasciare gli allestimenti nello stesso posto. Invece penso che la battaglia da vincere fosse quella relativa alle persone. Lasciare che ognuno degli artisti potesse portare un contributo personale oltre che professionale a quello che stavamo facendo. Qualcosa che desse più vita e maggiori emozioni alla vicenda che abbiamo voluto raccontare. E questa sfida l'abbiamo vinta».

Come a dire, insomma, che non è certamente sul terreno della tecnologia che il cinema gioca la sua competizione più difficile. Anzi. È sempre e soprattutto sul lato umano che conta sempre di più, anche quando il computer sembra riuscire a mascherare qualsiasi problema.

Perfino gli stati d'animo.

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