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Un intellettuale europeo? Vedi alla "Voce" Prezzolini

Vita, opere e idee di un «anarchico-conservatore» che capì l’Italia, la destra e l’(anti)fascismo

Un intellettuale europeo? Vedi alla "Voce" Prezzolini

Nome: Giuseppe Prezzolini, o «Giuliano il Sofista», pseudonimo che è un omaggio all'eroe stendhaliano Julien Sorel, all'imperatore anticristiano Giuliano l'Apostata e ai Sofisti, i falsi sapienti invisi all'accademia; è un programma di vita: mai conformarsi alle idee prevalenti.

Date di nascita e morte: 1882, per sbaglio a Perugia, crescendo nell'Italia giolittiana che come pochi disprezzò; e 1982, 48 ore dopo la vittoria dell'Italia al Mundial di Spagna, cosa che oscurò in parte i necrologi, a Lugano (dove si autoesiliò dopo aver litigato con lo Stato italiano per una faccenda di tasse). Professione: non ebbe lauree ma insegnò per anni alla Columbia University a New York, non fu scrittore, fondò la più importante rivista del '900, La Voce, e lavorò tantissimo per i giornali, soprattutto dall'America, ma diceva di farlo per questioni alimentari: per guadagnare il pane; e il tesserino di giornalista lo prese a 86 anni. Per snobbarlo, in realtà facendogli uno scomplimento, lo definivano un «organizzatore culturale», un «impresario»: infatti produsse cultura (riviste, case editrici, libri, conferenze, aforismi...), che è il vero senso dell'intellettuale. Ecco perché lui e Longanesi sono tra i massimi uomini di cultura italiani del '900. Poi fu un polemista strepitoso. Carattere: pessimista, ironico, scettico, bizzoso. Amava solo due cose: la libertà e la solitudine. Convinzioni: a parte l'anticomunismo, una in particolare. Che l'istinto di conservare, nell'uomo, sia più forte del desiderio del cambiamento.

Lascito (di un autodidatta): due riviste storiche, una cinquantina di libri, migliaia di articoli, un irripetibile Repertorio Bibliografico della Storia e della Critica della Letteratura italiana preparato dalla Casa Italiana della Columbia University che diresse per dieci anni, un Diario immenso e carteggi con Amendola, Croce, Gentile, Missiroli, Moravia, Soffici, Ungaretti...

Domanda: come si può raccontare vita e idee di un uomo che è stato testimone del suo secolo? (È un po' il nostro Ernst Jünger, entrambi centenari, «rivoluzionari conservatori», uno anarchico l'altro anarca, entrati nelle trincee e usciti con una Croce di guerra; tentati dall'avvicinamento alle droghe, hashish o Lsd; aristocratici dello Spirito e maledetti).

Risposta: la biografia Giuseppe Prezzolini, l'anarchico conservatore che Gennaro Sangiuliano pubblicò per Mursia nel 2008, quando era giornalista Rai, e ripubblica oggi, che è ministro della Cultura, nella prestigiosa collana «Oscar Storia» Mondadori in una nuova edizione, con la stessa postfazione di allora di Vittorio Feltri, una nuova prefazione di Francesco Perfetti, e una dedica: «A Giorgia Meloni» (dubbi: alla Meloni Prezzolini piace molto, chissà se a Prezzolini sarebbe piaciuta Giorgia Meloni).

Ma qual è la forza di una biografia? Dirci «chi è» un personaggio, raccontandolo in tutte le sfumature, la grandezza, le debolezze, i lampi di genio («Prezzo» ne ebbe molti), le ombrosità (altrettante), seguendolo negli anni, nei luoghi, nelle azioni, negli scritti e nelle amicizie (bisogna leggere le pagine sul rapporto con Croce e con Mussolini, «lettore assiduo» della Voce, che secondo Malaparte fu «la serra calda del fascismo e dell'antifascismo») aggiungendo aneddoti, inclinazioni, estrosità; e questo Sangiuliano lo ha fatto benissimo e prima degli altri, studiando i libri di «Giuliano»-Prezzolini, il contesto storico, i documenti, il maestoso Diario... Ma poi le vere biografie sono quelle che ci dicono anche «perché» quel personaggio, che segnò il proprio tempo, può segnare il nostro. Esempi. Prezzolini è stato uno dei pochissimi intellettuali di statura europea che l'Italia abbia avuto: per peso culturale, esperienze, lingue, viaggi, scritti e pensiero. È stato nietzschiano, pragmatista, seguace di Bergson, di Croce e Gentile. Prezzolini, cento anni fa, fin dai tempi del Leonardo, tentò la rivoluzione culturale che servirebbe oggi: contro l'accademismo, il dilettantismo, il settarismo, proponendo incentivi per le biblioteche pubbliche, il riordino degli istituti scolastici, la sprovincializzazione delle Lettere. Già cercava (come altri oggi) una «destra che non c'è», liberale e conservatrice, confidando in una società che sa regolarsi da sé dove lo Stato interviene poco, e credendo in tre parole che, spazzando via qualsiasi equivoco reazionario, possono dare una vera identità ai moderati: democrazia, libertà, tradizione. Poi c'è l'eterna questione fascismo-antifascismo, affrontata da un uomo che fu esule dall'Italia per quarant'anni, venti dei quali perché i fascisti lo credevano antifascista e venti perché gli antifascisti lo bollavano di fascismo. E comunque, come già disse nel '77 a Claudio Quarantotto nella celebre Intervista sulla Destra - di cui si consiglia la lettura a Saviano, Berizzi & Anpi - «Il fascismo non si ripeterà mai».

Infine, l'Italia. Dalla quale Prezzolini, da perfetto «anti» e «arci» italiano, stette lontano il più possibile per amarla e staffilarla meglio. Leggendolo, si capisce che cento anni dopo il Paese è identico.

La classe politica avvocatesca, «dove l'usciere conta più del ministro». La burocrazia elefantiaca. La giustizia politicizzata. Il welfare fuori controllo. E dove i furbi vincono sempre sui fessi. Ma se non è riuscita la generazione di Prezzolini a cambiare le cose...

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