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Pane Carasau, l'essenza della Sardegna nella storia dell'antico pane

Pane Carasau, un prodotto emblematico della storia e della cultura alimentare sarda, che ben rappresenta l'essenza di questo magico territorio

Pane Carasau, l'essenza della Sardegna nella storia dell'antico pane

Non c'è Sardegna senza pane carasau: non c'è tavola, non c'è banchetto e non esiste convivialità senza la presenza di questo cibo, così particolare e unico. Un prodotto presente in ogni casa e facile da realizzare, perché bastano pochi ingredienti per ottenere una sfoglia sottile, saporita e leggera. Ma al contempo dorata, croccante e piena di energia. Un pane che si preparare artigianalmente, a mano, e si può conservare a lungo. Scopriamo l'origine e la storia del pane carasau.

Pane carasau, un po' di storia

Nuraghe

Antico e tradizionale, il pane carasau è un alimento simbolo della Sardegna e parte integrante dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali: è un prodotto talmente iconico che, dal 2017, è entrato nel dizionario Zanichelli. La struttura solitamente è circolare, con uno spessore minimo e leggero, tanto da ricordare un foglio di carta.

La croccante delizia è originaria della zona della Barbagia, ovvero la parte più interna e selvaggia della provincia di Nuoro. Ma ne esistono anche delle varianti preparate ad Orgosolo, Orotelli, Ovodda e Gavoi, dove prevalgono sia la forma tonda che quella rettangolare, con un formato più piccolo e dal nome di "pane tostu" o "pane 'e fresa". Nell'Ogliastra è maggiormente consumato in una versione più spessa, nota come "pistocu".

Il termine "carasau" deriva dal dialetto sardo e rimanda alla parola "cariare", ovvero sia alla tipologia di lavorazione dell'impasto che alla cottura e tosatura del pane stesso, che in sardo si dice "carasare". Un prodotto sicuramente molto diffuso lungo tutta l'isola, tanto da essersi guadagnato anche il termine di "carta da musica". Battezzato così dai tanti turisti, o continentali, che paragonano il suo spessore sottile a quello delle pergamene e della carta degli spartititi. Ma anche per quel particolare suono che produce quando lo si addenta e mastica.

Il pane carasau affonda le sue radici nell'età del bronzo, come testimoniano il ritrovamento di forni e attrezzatura tematica all'interno dei nuraghi. Ma la sua storia è legata alla vita dei pastori, alla transumanza che li costringeva a trascorrere fuori casa lunghi periodi. Per questo le donne sarde preparavano il pane carasau, in grado di conservarsi a lungo, mantenendo inalterata la sua fragranza anche per due mesi. Facilmente trasportabile e fortemente energetico, il pane carasau ha accompagnato i pastori per secoli durante le dure giornate di lavoro. Un pasto perfetto per recuperare le forze, un pane dal gusto croccante che si poteva facilmente farcire con salumi e formaggi.

Pane carasau, preparazione artigianale

Carasau pane

Per quanto sia di facile cottura, il pane carasau è il frutto di un lavoro di squadra, spesso tutto al femminile. Questo perché, secondo la tradizione, almeno tre donne trascorrevano una giornata intera in un locale-cucina con forno a legna. Una lavorazione a più fasi che costringeva a operare in ginocchio, iniziando sin dall'alba con il lievito naturale - in origine solitamente quello madre - sciolto in acqua tiepida, da mescolare con farina di semola di grano duro rimacinata e sale marino. In base al ceto sociale veniva utilizzata la farina bianca, mentre le famiglie più povere si accontentavano di una miscela costituita da farine integrali e meno pregiate. Si procedeva con l'intera operazione, nota come "sa cotta": fino a poche decadi fa un vero rito familiare o di vicinato. Ma quali erano le fasi della preparazione?

  • S'inthurta: si proseguiva con la lavorazione dell'impasto all'interno di un recipiente o madia di legno (noto come "iscivu", "lacu", l"achedda") oppure di terracotta ("tianu", "impastera"). Era un procedimento lungo, lento e costante, che richiedeva forza ed energia. Le donne si alternavano durante questa fase e, in alcuni casi, in supporto intervenivano anche gli uomini;
  • Cariare o hariare: si lasciava lievitare per trenta minuti il tutto, per poi passare alla lavorazione vera e propria. L'impasto veniva più volte steso, riavvolto, schiacciato e steso di nuovo ("sa mesa pro su pane", "sa mesitta"). Tutto ovviamente a mano con la sola forza delle braccia, allargato con la pressione dei pugni, ammorbidito con poca acqua e nuovamente impastato. Un'operazione che richiedeva il supporto di tutti i presenti che si alternavano nella pratica: maggiore era la lavorazione migliore il risultato;
  • Pesare: il tutto veniva riposto all'interno di ciotole di terracotta o sughero e coperto con teli o panni di lana, per la lievitazione. Un crescita che durava altre due o tre ore, permettendo all'impasto di aumentare di volume in modo graduale;
  • Orire, stesare: l'impasto veniva nuovamente lavorato, successivamente diviso in parti uguali e arrotondato, infarinato e nuovamente protetto all'interno di piccoli recipienti - noti come "còrvulas", "canisteddas" - tra teli di lana o di lino per concludere la lievitazione;

Pecorino sardo

  • Illaddare: a questo punto della lavorazione, i panetti venivano nuovamente lavorati singolarmente con il supporto di mini mattarelli di legno, ma anche con l'aiuto delle mani. Con i polpastrelli l'impasto veniva infarinato, appiattito e allargato fino a creare la tipica forma circolare del pane stesso. Secondo la tradizione più antica, questi venivano avvolti tra gli strati di speciali panni di lana, noti come "pannos de ispica" o "tiazas", solitamente conservati arrotolati e dal formato importante, di dieci metri per 50 centimetri;
  • Kokere o cochere: si giungeva alla fase della cottura all'interno di un forno a legna di quercia, con una temperatura di 400-500 gradi. Le braci venivano spostate e il piano pulito con una speciale scopa, con una pala venivano posizionati i dischi di impasto per una prima fase di cottura, che permetteva al pane di gonfiarsi riempiendosi d'aria. Con la pala si premeva per direzionare l'aria così che le due parti si separassero, oppure si recuperava il disco e si dividevano le due sfoglie, con attenzione e con l'aiuto della lama di un coltellino. Un'operazione importante che richiedeva cura e velocità vista l'alta temperatura, in modo che la sfoglia di separasse senza perdere volume;
  • Fresare: i due strati ottenuti, noti come "pane lentu", venivano fatti riposare all'interno di cesti per poi passare alla fase finale. Un momento della giornata che, secondo la tradizione, corrispondeva alla pausa lavorativa e consentiva alle persone coinvolte di riposare e pranzare;
  • Carasare: per consentire al pane carasau di conservarsi a lungo, i singoli dischi venivano disposti nuovamente in forno per la tostatura finale. Una cottura che poteva abbrustolire più o meno le sfoglie in base al gusto personale, favorendo al contempo l'eliminazione dell’acqua. Tutti gli strati ottenuti venivano riposti all'interno di grosse ceste di asfodelo, coperti con un panno speciale e un peso, per un'ultima pressatura.

Pane carasau, varianti

Capra

Solitamente il pane carasau viene venduto all'interno di grandi confezion: i dischi misurano anche 40 centimetri di diametro e appaiono impilati l'uno sull'altro. Si consuma così come appare, ovvero croccante, oppure lo si può ammorbidire passando velocemente sotto l'acqua del rubinetto la parte più ruvida. Lo si lascia sgocciolare, risultando più morbido ("pane infutsu") e facile da farcire con salumi, creme e formaggi. Non deve però risultare troppo umido, ma conservare un po' di tostatura iniziale.

Si può condire anche con l'olio e sale ("pane guttiau"), oppure utilizzato al posto della pasta per ottenere una lasagna più leggera. Ogni sfoglia viene immersa rapidamente in acqua bollente e sistemata in una pirofila, alternando gli strati con pomodoro, sugo di carne e pecorino ("pane frattau").

Secondo la tradizione più antica, si immerge rapidamente in brodo di carne di pecora, disposto sopra un piatto e condito con sugo di pomodoro, pecorino grattugiato e completato a piacere con un uovo cotto in camicia. Del pane carasau non si butta nulla, neppure le briciole, che vengono conservate e consumate a colazione nel caffelatte.

Amatissimo in tutto il mondo, il pane carasau è perfetto anche per chi segue le diete ipocaloriche perché sazia facilmente ed è leggero.

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