Cronaca locale

Moschee, fine dell'ipocrisia: nei locali abusivi non si prega

L'uso deve corrispondere alla destinazione urbanistica. Lo stabilisce anche una sentenza del Consiglio di Stato

Moschee, fine dell'ipocrisia: nei locali abusivi non si prega

Fine degli alibi. Dopo la Cassazione, anche il Consiglio di Stato mette la parola fine a ogni tentativo di tergiversare sulla situazione dei centri islamici abusivi. Il massimo organo della giustizia amministrativa è intervenuto, di recente, pronunciandosi sull'annosa vicenda di Cantù, che dal 2014 vede contrapposti il Comune e un'associazione islamica locale. La sentenza sancisce che «la destinazione d'uso dell'immobile per finalità di culto risulta non compatibile con la destinazione legale dell'area». Il verdetto conferma quello del Tar (2018): per i giudici amministrativi, questo il punto, deve esserci una corrispondenza fra la destinazione formale - e ufficiale - di un immobile, e l'uso effettivo che ne viene fatto. Un principio apparentemente banale. Eppure a Milano non è scontato, dal momento che si continua a pregare alla luce del sole in immobili che - salvo il caso di Segrate - non hanno una destinazione consona.

Il verdetto è stato accolto con «grandissima soddisfazione» dal sottosegretario agli Interni Nicola Molteni, che a Cantù è nato ed è stato eletto: «La moschea - ha detto - è stata definitivamente dichiarata abusiva e illegale dai giudici amministrativi». «In quel capannone industriale e artigianale - ha raccontato - si pregava nonostante le norme urbanistiche lo impedissero tassativamente, violazioni più volte accertate anche da interventi delle forze di Polizia locale». Per il sottosegretario, ha avuto ragione il sindaco Alice Galbiati e ha avuto ragione la Lega, dopo «anni di manifestazioni, presidi, sit-in, raccolte firme, interrogazioni parlamentari, richiesta di referendum cittadino, mobilitazioni popolari con Matteo Salvini». «Ora - dice Molteni - la moschea abusiva va chiusa, si ripristini la legalità e la Comunità islamica e la sinistra chiedano scusa a Cantù e ai canturini per aver fatto perdere tempo e soldi».

Ma la sentenza assume il valore di un precedente anche per Milano, dove dietro il paravento dei centri «informali» (la sinistra li chiama così) si continua a tollerare un panorama di diffuso abusivismo nell'uso di centri «culturali» sostanzialmente adibiti a moschee, in locali spesso inadeguati e insicuri, e in ogni caso destinati a capannoni industriali o artigianali. E tutto ciò lo si fa - fra l'altro - nonostante la Cassazione abbia già accertato il profilo di illecito penale di un caso come via Cavalcanti. «La sentenza su Cantù è importante - dice Riccardo De Corato, consigliere di Fdi e assessore regionale - Altri Comuni lombardi si trovano nella stessa situazione e questa sentenza potrà dare forza ai sindaci di continuare nella loro battaglia per la chiusura dei luoghi di culto abusivi. «Aspetterò di avere le motivazioni della sentenza - aggiunge - per consegnarle al Comune di Milano per chiedere la chiusura di tutte le almeno 12 moschee abusivamente realizzate in città».

De Corato cita queste 12 realtà e ricorda che a Milano, per ammissione di Palazzo Marino - «i controlli sono fermi al 2017».

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