Cronaca locale

"Ora porto in scena Puskas. Il calcio ricorda i suoi eroi"

L'attore Gianfelice Facchetti al Teatro Oscar di Milano interpreta la storia unica dell'atleta ungherese: "Dalla malattia alla rinascita"

"Ora porto in scena Puskas. Il calcio ricorda i suoi eroi"

Non è un'epoca fatta per la Storia e per i sogni futuribili. Il presente in cui viviamo è sempre più dilatato, ricordi e prospettive finiscono compressi ai margini. Si dimentica, e tutto si tinge di cronaca. Un artista come Gianfelice Facchetti, però, da buon osservatore del reale, a questa «dittatura del presente» non si rassegna proprio.

In questi giorni, con la sua penna, una piéce e un libro ci portano in un altrove dove storia e sport si prendono per mano e provano a portarci in un domani che appare come migliore. «Puskas chi?» è il testo teatrale che fino a lunedì 24 maggio è in scena al Teatro Oscar di Milano (inizio degli spettacoli, ore 19,30, domenica invece alle ore 16,30, ingresso 15 euro, info@oscar-desidera.it) raccontando la storia del mitico Ferenc Puskas, mentre «C'era una volta a San Siro» (Piemme) è un curioso racconto «in prima persona». E queste virgolette le spiega lui che, inutile ricordarlo, è il figlio del grande Giacinto, simbolo dell'Inter e della Nazionale.

Partiamo dal libro: chi narra?

«È lo stesso stadio San Siro a raccontare grandi e piccoli avvenimenti accaduti dentro le sue mura. Ho immaginato che fosse proprio il Meazza a ricordarci la sua storia, L'ispirazione mi è venuta osservando le prime tristi partite di calcio senza pubblico».

Gli spalti si torneranno a riempire?

«Certo. La gente è ciò che dà vita a questo luogo. San Siro lo hanno vissuto i tifosi, sono loro i testimoni. San Siro per me è il gol di papà che completa la rimonta del 3-0 col Liverpool nel 1965 ma è anche il tifoso comune che esce troppo presto e si perde un gol cruciale, e si incavola. San Siro è i grandi concerti».

Difatti, la prefazione la firma un certo Luciano Ligabue.

«Siamo amici dalla festa del Centenario dell'Inter, il 2008. Lui è interista doc. Lo incrociai nel sottopasso, accanto al campo. In un suo live, fece proiettare sulle note del brano Buonanotte all'Italia l'immagine di papà tra quelle dei protagonisti della storia italiana».

Oggi si dimentica tutto: che opinione ha della cosiddetta «cancel culture»?

«La trovo aberrante. Balliamo una danza schizofrenica sulla memoria, si perde il senso della Storia. Ma il calcio, incredibile a dirsi, coltiva i suoi ricordi. Paradossale, davvero: la cultura sembra arrendersi ai radicalismi. Il popolare mondo del calcio, invece, coltiva i suoi eroi».

A proposito di eroi: perché una piéce scritta proprio sulla figura di Puskas?

«A propormela è stato l'attore Fabio Zulli. Lui interpreta, nel monologo, il medico Gabriel Tulipan che curò Puskas quando fu colpito dal morbo di Alzheimer».

Epilogo triste di una vita da campione.

«La storia di quest'uomo appare come unica: parla di libertà e rinascita, di memoria e di malattia. Puskas era l'attaccante simbolo dell'Honved, esaltato dal regime comunista ungherese fino ai moti di Budapest del 1956. Poi, con il sostegno ai ribelli, si ritrovò cancellato dalla memoria pubblica. Questo lo portò alla depressione e successivamente alla rinascita, alle tre Coppe Campioni vinte con il Real Madrid.

Infine, l'Alzheimer crudelmente gli fece dimenticare persino chi fosse».

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