Scena del crimine

"La sera del delitto, il carcere, la libertà. La mia verità su Meredith"

Rudy Guede fu condannato in concorso per l'omicidio di Meredith Kercher. Nel 2021, dopo aver scontato la pena, è tornato in libertà. "Sono state dette tante cose sul mio conto che non corrispondono affatto alla verità", racconta a ilGiornale.it

Rudy Guede nel 2016 Esclusiva
Rudy Guede nel 2016

"Avrei dovuto aiutare Meredith fino in fondo. Quello è l'unico rammarico che avrò per sempre". Lo confida in un'intervista rilasciata alla nostra redazione Rudy Guede, il ragazzo di origini ivoriane - oggi 35enne - che fu condannato a 16 anni di reclusione per concorso con ignoti nell'omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia il 1°novembre del 2007. Anche se le sentenze non gli imputano di aver impugnato il coltello che uccise la ragazza.

Nel 2021 Guede è tornato in libertà dopo aver ottenuto uno sconto di pena. Lavora e ha scritto un libro, in collaborazione col giornalista e scrittore Pierluigi Vito: "Il beneficio del dubbio, la mia storia" (Augh! 2022), è il titolo. "Questo libro nasce dal desiderio di raccontare chi sono e fare chiarezza sulla vicenda processuale che mi ha travolto", spiega precisando che parte del ricavato dalle vendite sarà devoluto in beneficenza alla Fondazione Ospedale "Bambino Gesù"..

Rudy Hermann Guede: "si legge come si scrive", non ‘alla francese’. Lo mette subito in chiaro nelle prime righe del suo libro. Le ha dato molto fastidio che per anni qualcuno storpiasse il suo cognome?

"La pronuncia francofona non è sbagliata. Il punto è che da quando sono in Italia mi hanno sempre chiamato tutti Guede, proprio come si scrive. Io ero ‘il Guede’ per amici e conoscenti. Quando, durante gli anni del processo, sentivo pronunciare Ghedé - alla francese, per l’appunto - non mi ci identificavo, non ero io. E poi sembrava che fosse fatto quasi di proposito per rimarcare, in modo negativo, le mie origini ivoriane".

Il titolo del libro è semplice ma efficace: "Il beneficio del dubbio. La mia storia". Perché ha sentito l'esigenza di raccontare la sua vita?

"Questo libro nasce dal desiderio di raccontare chi sono e fare chiarezza sulla vicenda processuale che mi ha travolto. Sono state dette tante cose sul mio conto che non corrispondono affatto alla verità. E sarebbe bastato leggere bene le carte del processo, andare a chiedere alle persone che realmente mi conoscevano, per sapere chi fosse davvero Rudy Guede".

Che intende?

"Mi hanno descritto come un ragazzo dedito ai furti, che beveva e faceva chissà che cosa. E pensare che sono stato pure assolto 'per non aver commesso il fatto', preciso, dal reato di furto in casa di Meredith, anche se questo non viene mai riportato o si dice addirittura il contrario. Non dico di essere una persona ineccepibile o di non aver mai commesso errori. Durante l’adolescenza sicuramente ho fatto qualche cavolata ma parliamo di bravate, cose di poco conto che può aver fatto qualunque ragazzino".

La sua infanzia è stata, diciamo così, un po' turbolenta dal punto di vista della stabilità familiare. Quanto ha inciso nel suo percorso di crescita la mancanza di una famiglia unita e presente?

"Ha inciso parecchio. Mi è mancato soprattutto il fatto di non avere mia madre accanto. Sono arrivato in Italia piccolissimo, avevo cinque anni. Ho vissuto con mio padre e la nuova compagna ma lei non aveva grande simpatia per me. Ero al primo anno di elementari, ricordo, quando ho dovuto imparare a cucinare per sfamarmi. Non trovavo nessuno ad accogliermi quando rincasavo dalla scuola, dovevo provvedere a me stesso per tutto quanto. Sa cosa vuol dire crescere senza l’abbraccio o il bacio della buona notte di una madre sapendo, peraltro, che vive in un altro continente? È una circostanza che inevitabilmente ti segna nel profondo".

Però in Italia è stato accolto e benvoluto da molte persone. Sbaglio?

"Verissimo. A partire dalla maestra Ivana e i suoi figli: sono stati come una seconda famiglia per me. Ho conosciuto tante persone bellissime che mi hanno inondato di affetto e calore. E di questo sarò loro per sempre grato".

Nonostante gli alti e i bassi, fino ai 20 anni, fila tutto abbastanza liscio. Poi arriva quel "maledetto giorno" - come lo ha definito il giudice Giuliano Mignini - del 1 novembre 2007. Nel libro scrive di essersi trovato "nel posto sbagliato al momento sbagliato". Si è sentito, in qualche misura, anche lei un po' vittima di questa tragedia?

"La vittima di questa storia è Meredith. E la sua famiglia che è costretta a convivere con un dolore inesauribile. Quando dico che ‘mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato’ intendo dire che ero giovane e non avevo gli strumenti per affrontare quella situazione. Mi sono lasciato sopraffare dalla paura. Anzi quello è l’unico grande rammarico che avrò per sempre”.

A cosa si riferisce?

“Avrei dovuto aiutare Meredith fino in fondo. Avrei dovuto precipitarmi fuori dalla casa di via della Pergola quella sera e gridare aiuto, chiamare i soccorsi. E invece, ripeto, mi sono spaventato e sono scappato via”.

Cosa ricorda di Meredith Kercher?

"Il sorriso dolcissimo. Era una ragazza solare, simpatica e intelligente".

Nel suo racconto, in riferimento ai fatti di quella sera, ha fatto il nome di una persona: quello di Amanda Knox. Dice di averla vista e riconosciuta sul vialetto della casa in via della Pergola. È ancora convinto che fosse lei?

"Quello che ho raccontato nel libro e anche agli atti del processo. Non devo aggiungere altro".

In un'intervista rilasciata al settimanale "Oggi", di lei Amanda Knox ha detto che seppur abbia pagato il conto con la giustizia "resta un criminale". Vuole replicare?

"Come si dice in questi casi: ‘no comment’. Vado per la mia strada".

Il carcere le ha tolto tante cose - lo ha scritto a titolo di un capitolo - ma le ha dato anche la possibilità di rimettere ordine nella sua vita. Si è laureato e ha lavorato con costanza. Ha mai pensato che, forse, era giusto passare di lì per ‘raddrizzare il tiro’?

"Il carcere di per sé non ti dà niente: sei tu che devi metterci impegno e tanta buona volontà. Non tutti i detenuti hanno voglia di rimettersi in gioco, di studiare e imparare cose nuove. Il carcere ‘ti dà’ se tu sei disposto ad accogliere quello che arriva. Nel mio caso, devo dire, sono stato anche molto fortunato. Ho conosciuto delle persone fantastiche che mi hanno sostenuto e supportato".

Che sapore ha la libertà?

"La mia anima è sempre stata libera, anche quando ero in carcere. Riconquistare la libertà, in senso fisico, ha significato riappropriarmi del tempo e degli spazi. È come se la mia anima si fosse ricongiunta al corpo. Questa per me è stato ritrovare la libertà".

Mi conceda una domanda "antipatica". Può chiarire, una volta per tutte, la questione del permesso di soggiorno: ce l’ha o no?

"La mattina lavoro al Centro Studi Criminologici di Viterbo, dove mi occupo della biblioteca, e la sera in un ristorante dove ho un contratto a tempo indeterminato. Secondo lei assumerebbero uno che non ha i documenti in regola? La risposta mi pare ovvia".

Ritornando al suo libro, ci sono due espressioni che mi hanno piacevolmente colpito. A proposito di suo padre, scrive: "A volte, però, il tempo concede una seconda possibilità". Lei l’ha colta?

"Penso proprio di sì. Ho una vita appagante e soddisfacente sotto tutti i punti di vista. Posso dire di essere sereno".

L'altra, invece, è quella sua maestra Ivana: "Soltanto il tempo ci farà vedere cosa fiorirà in te". Chi è oggi Rudy Guede?

"Un uomo che è maturato e cresciuto. Lavoro, cerco, come posso, anche di aiutare altri, ho amici e una vita sentimentale che mi dà gioia. Del resto, quando hai ricevuto del bene, non puoi che ricambiare prodigandoti per le persone meno fortunate.

Continuo ad impegnarmi sperando di diventare, giorno dopo giorno, la versione migliore di me stesso".

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