
Era la campagna elettorale del 2020, e Matteo Salvini si trovava in Emilia Romagna per le elezioni regionali. Il segretario della Lega aveva da poco ascoltato le lamentele dei cittadini, che denunciavano un'intensa attività di spaccio nel quartiere Pilastro di Bologna, ragion per cui si era avvicinato a un appartamento di via Grazia Deledda per citofonare a una delle famiglie sospettate. Il video fece il giro dei social e dei programmi televisivi, generando non poco scalpore. A distanza di cinque anni alcuni membri di quella famiglia hanno effettivamente ricevuto condanne.
Stando alle ultime notizie, dei componenti di quel nucleo familiare hanno ricevuto la condanna della Cassazione in via definitiva. L'accusa è proprio quella di aver fatto pare di un'organizzazione criminale finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti nel quartiere bolognese. I fatti contestati risalgono al periodo di tempo compreso fra il 2019 e il 2020. In tutto si contavano 14 imputati e fra questi figurano anche i membri della famiglia a cui citofonò il leader della Lega.
Si ricordano ancora le polemiche che si abbatterono sul vicepremier da parte di chi non tollerò quell'iniziativa, avvenuta il 21 gennaio del 2020. Salvini citofonò alla famiglia - composta un tunisino, un'italiana di origini svizzere e il figlio di 17 anni, che andò a rispondere. "Mi dicono che in questa casa si spaccia. Scusi, lei spaccia?", era stata la domanda di Salvini. Non mancò la solita levata di scudi della sinistra.
Eppure le indagini condotte dai pm Roberto Ceroni e Marco Imperato, avviate dopo l'omicidio di Nicola Rinaldi, hanno portato all'arresto di 21 persone, con successiva riduzione di pena. Nel corso della giornata di ieri, la Corte di Cassazione si è espressa su 14 imputati, confermando l'accusa per traffico di stupefacenti. La condanna è stata confermata anche per la famiglia del citofono.
Quanto a Matteo Salvini, il sostituto procuratore
di Bologna Roberto Ceroni ha chiesto l'archiviazione delle indagini a carico di Matto Salvini, che era stato accusato di diffamazione aggravata. Non vi sono infatti elementi in grado di sostenere l'accusa.