
Alberto Stasi rischia di verdersi annullare la semilibertà a causa di un'intervista non autorizzata concessa a Le Iene e andata in onda lo scorso 30 marzo, che è già stata al centro dell'udienza davanti ai giudici della Sorveglianza dello scorso 9 aprile. In quell'occasione, Stasi aveva ricevuto il parere negativo della Procura generale di Milano (sostituta pg Valeria Marino). L'intervista "è stata registrata durante il permesso premio" del 22 marzo scorso "e non si sono rilevate, pertanto, infrazioni alle prescrizioni", si legge nella lettera inviata dal direttore del carcere di Bollate Giorgio Leggieri al Tribunale di Sorveglianza di Milano e al magistrato Maria Paola Caffarena.
Ma cosa disse in quell'intervista Stasi? I passaggi salienti in tale senso sono stati numerosi ma ciò che l'unico condannato per l'omicidio di Chiara Poggi ha voluto far emergere con forza è un messaggio di fiducia nella giustizia, per quel che è il suo punto di vista di persona che si è sempre proclamata innocente: "Quello che ho a cuore è che salti fuori la verità, che venga alla luce tutto quello che deve emergere, che non è ancora emerso. Nient’altro. Io, comunque, tra pochi mesi potrei anche essere definitivamente a casa; quindi, non sono questi pochi mesi che per me fanno la differenza, ho motivazioni più profonde, insomma, sarebbe molto più importante per me, per la mia famiglia e per Chiara, trovare la verità".
In quell'intervista ha paragonato la sua condanna a una grave malattia: "È come quando ti viene diagnosticato un cancro. Ti capita, in qualche modo devi reagire. Io almeno ho la leggerezza della coscienza che mi aiuta". Sa che questo concetto, alla luce della sentenza passata in giudicato, non sia facile da capire, ma a Le Iene ha spiegato che "è il senso di non avere il peso di quello che è successo che ti logora dentro. In qualche modo ti fa vivere la questione come un incidente della tua vita, molto grave, molto brutto ma che riesci ad affrontare".
È entrato anche nel tecnico nella sua situazione e di come si è arrivati alla condanna e assumendosi la responsabilità di quanto pubblicamente dichiarato, ha detto a Le Iene che "i Carabinieri quando hanno preso il pc lo hanno aperto, acceso e hanno visto il file word della mia tesi e hanno chiuso il programma. Questo ha comportato la cancellazione di file temporanei che dimostrano che io stavo ancora scrivendo durante il delitto.
Ma non ho più potuto dimostrarlo perché il pc è stato alterato dall’utilizzo che i carabinieri ne avevano fatto, anche dopo. Quello era il mio alibi. Inoltre, la cancellazione del file temporaneo della tesi ha dato la possibilità al pm di chiedere la mia condanna perché avevo fornito un alibi falso".